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Ospitalità, riconciliazione e perdono

Dn 2,36-47; Sal 97 (98); Col 1,1-7; Lc 2,36-38

3 Gennaio 2019

«C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme». (Lc 2,36-38)

Anna esce dal silenzio che caratterizzava la sua vita: ella rappresenta la figura caratteristica dell’israelita devoto, così come Simeone. È la figura dell’Israele che si apre al Messia, anche se certamente non comprendendo ancora appieno la portata salvifica dell’azione di Gesù. È una figura silenziosa infatti di lei non si riporta alcuna parola ne verso i giudei, ne verso Dio e nemmeno verso il bambino, ma ella loda il Signore e parla pubblicamente di Gesù. È chiamata profetessa perché riconosce la presenza di Dio, riconosce nel bambino la “redenzione d’Israele”. Anna aspetta il riscatto del popolo di Dio, aspetta la liberazione da una condizione di schiavitù e per questo il suo è un canto di lode al Signore. Tutte queste informazioni su questa donna che vive praticamente di preghiera, ci aiutano a comprendere che è proprio la preghiera l’anima della fede cristiana, senza la quale non si cresce nella vita e non si attende nella fede il vero Dio.

Preghiamo

Esultiamo nel Signore,
rallegriamoci con intima gioia
perché è apparso nel mondo
il giorno della salvezza eterna.
(Canto allo spezzare del pane)

[da: Stranieri e pellegrini – Il cammino, l’attesa, l’ospitalità – Avvento e Natale 2018, Centro Ambrosiano]