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Domenica III dopo l’Epifania, S. Famiglia

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - festa del Signore

26 Gennaio 2014

Nel rito ambrosiano si celebra in questa domenica la festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, che nel rito romano si ricorda la domenica entro l’ottava di Natale. Si condensa così in una celebrazione festiva la memoria dei silenziosi trent’anni di Nazaret, il mistero dell’immersione del Signore in una famiglia che vive nascosta tra le altre nel borgo sperduto di una terra marginale.
Dopo i racconti dell’infanzia, soltanto un evento conosciamo: l’episodio di Gesù dodicenne condotto in pellegrinaggio a Gerusalemme, insediato tra i dottori del Tempio, un avvenimento che sconvolge la vita della piccola famiglia, che scorreva evidentemente su ritmi normali. Nient’altro. Tutto il resto è silenzio.
 
Non occorre lavorare tanto di fantasia (la penna e il pennello di tanti lo hanno fatto, riproducendo momenti e gesti della vita di questa singolare famiglia: Gesù che lavora nella bottega di Giuseppe falegname, Maria che si occupa delle faccende della casa…) per raccogliere il messaggio che ci viene da questo silenzio: il nostro Dio è realmente disceso nella carne della nostra umanità, ha vissuto l’esperienza del crescere e maturare come uomo in una famiglia, ha conosciuto le gioie e le fatiche di questa crescita, ha rispettato le leggi dei rapporti, di obbedienza e insieme di libertà, all’interno di un nucleo familiare in cui certo l’amore era la legge, ma l’amore vero, senza pretesa di possesso, che si offre tutto intero all’altro rispettando dell’altro il mistero irraggiungibile. Una famiglia singolare, unica, quella di Gesù, Maria e Giuseppe, e tuttavia una luce a indicare la direzione al cammino di ogni umana famiglia.  
 
 
Oggi si ricordano i santi Timoteo e Tito, vescovi

Alla memoria della conversione di san Paolo fa seguito quella dei suoi collaboratori nella missione alle genti, Timoteo e Tito, vescovi della Chiesa primitiva.

Timoteo, educato fin da fanciullo al culto delle Scritture dalla mamma Eunìce e dalla nonna Lòide, fu portato alla fede nel Signore Gesù da Paolo durante il suo primo viaggio missionario, e di Paolo divenne il discepolo prediletto. Suo infaticabile compagno nell’evangelizzazione dell’Asia Minore, condivise la prigionia dell’Apostolo, che lo ricorda più volte facendone l’elogio. Nella Lettera ai Filippesi scrive di lui: “Non ho nessuno d’animo uguale al suo e che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre… Voi conoscete la buona prova da lui data, poiché ha servito il Vangelo con me, come un figlio serve il padre” (Fil 2, 20.22). E nelle lettere a lui stesso indirizzate lo esorta ad essere, come figlio amatissimo, modello per i credenti con la sua stessa vita, con l’insegnamento, la fede e la carità. Secondo la tradizione morì ad Efeso, la Chiesa che Paolo gli aveva affidato.

 

Tito, originario di Antiochia, abbracciò il cristianesimo nel primo viaggio apostolico di Paolo e Barnaba. Provenendo dal paganesimo, la sua fede si innestò direttamente sulla cultura ellenistica, senza passare per il giudaismo; per questo Paolo e Barnaba lo presero con sé e lo condussero alla comunità di Gerusalemme (Atti 15) per mostrare quali frutti produceva il Vangelo tra i non circoncisi. Come Timoteo anche Tito fu al seguito di Paolo come fedele collaboratore; con lui soggiornò a Corinto, guadagnandosi la stima di quella comunità, presso la quale svolse con successo un’opera di mediazione, ristabilendo l’armonia di rapporti con Paolo che alcuni malintesi avevano incrinato. In questa occasione Paolo scrisse ai Corinti la seconda lettera, e incaricò Tito di organizzare la colletta per i poveri di Gerusalemme. Ponendolo a capo della comunità di Creta, Paolo lo chiama “mio vero figlio nella fede comune” (Tt 1, 4). Salvo i periodi delle missioni in Epiro e in Dalmazia, Tito rimase nella sua Chiesa di Creta, dove morì in età avanzata.

 

Nel calendario monastico occidentale oggi si fa memoria anche dei santi monaci cistercensi Roberto, Alberico e Stefano, primi abati di Cîteaux (sec. XI-XII). La ricerca all’interno della scelta monastica di una più grande semplicità e povertà evangeliche fu avviata da Roberto e poi portata avanti dai successori Alberico e Stefano di Harding. Aveva con loro inizio quella riforma cistercense cui Bernardo di Clairvaux, entrando nell’ordine, darà il volto e il contenuto spirituale che sono tuttora vivi nella Chiesa.