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Lettera aperta al mio cardinale

4950 - per_appuntamenti Redazione Diocesi

23 Novembre 2009

Grazie, Eminenza,
di quanto ha fatto per noi, sacerdoti, ribelli per amore, nei mesi della bufera e dell’odio.
In un documento del 6 luglio 1944, che non ebbe il permesso di pubblicazione, così Lei descriveva la situazione di allora:
«…una lotta fratricida con vittime innocenti, una lotta fatta di odio, di livore umano, con vera caccia all’uomo, con metodi così crudeli che farebbero disonore alle belve della foresta».

A questa situazione ci siamo ribellati.
Grazie di averci incoraggiato, aiutato, difeso, salvato.
Grazie di aver liberato alcuni di noi dal carcere e dal concentramento.
Ma soprattutto grazie di essere stato sempre con noi.

Ogni volta che abbiamo potuto aiutare un ebreo ricercato a morte, un prigioniero fuggiasco e indifeso, un perseguitato… ogni volta che ci siamo opposti all’ingiustizia, al sopruso, alla violenza e abbiamo difeso gli inermi e i perseguitati “sentivano” che il nostro Vescovo era con noi.

Alcune sue parole, alcuni suoi gesti, hanno illuminato la nostra azione e ci hanno profondamente commossi.
Ricorda quando venne nel carcere di San Vittore per celebrare con i detenuti la Pasqua del 1944?

Fra i sacerdoti detenuti che circondavano l’altare Lei si accorge che ne manca uno. Era don Paolo Liggeri: non poteva venire perché era ancora sotto sorveglianza speciale, in isolamento.
Lei lo manda a chiamare, pretende che venga, e davanti alle SS impietrite lo ha affettuosamente abbracciato, anche se era vestito da galeotto e aveva la barba lunga
.
Ricorda quel giorno – settembre 1944 – nella sala d’attesa dell’Arcivescovado?Tra i tanti che attendevano di essere ricevuti c’ero anch’io, venuto per ringraziarla di avere ottenuto da poche ore, per sua intercessione, la libertà.

Giovane sacerdote – non ancora ventitré anni – incarcerato dalle SS lo stesso giorno della mia prima S. Messa per avere aiutato alcuni ebrei e diffuso un giornale clandestino…
Gli interrogatori non furono facili, e Lei lo aveva saputo. Ero stato duramente picchiato e torturato.
Volevano sapere i nomi dei miei amici collaboratori.
Lei mi vede in attesa e mi viene incontro: «Ti hanno fatto tanto male gli Alemanni?».

Poi si inginocchia davanti a me, mi bacia le mani e mi dice: «Così nella Chiesa primitiva facevano i Vescovi di fronte ai martiri».
Parole e gesti verso qualcuno di noi, ma capivamo che volevano essere significativi per noi tutti. Grazie, Eminenza, glielo diciamo con tutto il cuore.

Quel periodo di sofferenza è sempre vivo nella nostra memoria, anche se sono ormai passati sessant’anni…
Dal cielo ci benedica e ci aiuti, perché la nostra testimonianza di amore possa continuare, in modo diverso, ma non meno intensa e profonda.
Don Giovanni Barbareschi