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L’intervento

Don Serafino Morazzone: ammirazione a prima vista

La riflessione del Prevosto di Lecco: da una prima, sommaria conoscenza della figura del “buon curato di Chiuso” a una serie di “incontri provvidenziali” che hanno generato entusiasmo per il suo profilo spirituale

di monsignor Franco CECCHIN Prevosto di Lecco

13 Giugno 2011

Non avevo mai sentito parlare del “beato” Serafino, il “buon curato” di Chiuso, se non sette anni fa, quando per il raduno annuale della mia classe di ordinazione sacerdotale sono stato invitato a Chiuso dal mio confratello don Gaudenzio Corno. È stato il suo entusiasmo a incuriosirmi del nostro “curato di Ars”. Abbiamo celebrato la Santa Messa di ringraziamento proprio nella chiesa di San Giovanni. Ho sostato brevemente davanti alla tomba di don Serafino e mi ha colpito la testimonianza di Alessandro Manzoni. Un’ammirazione “a prima vista” mi ha coinvolto: ogni cristiano, ma soprattutto il prete, è “illustre” se vive in un “modo grande” la piccola parte che la Provvidenza gli affida.
Il secondo incontro con il “beato” Serafino è stato quando l’Arcivescovo, cardinale Dionigi Tettamanzi, mi ha nominato prevosto di Lecco. Proprio nel giorno del mio ingresso ufficiale (11 novembre 2007), tra i vari impegni assunti vi è stato quello di dare un apporto appassionato e determinato perché la Chiesa proclamasse “beato” chi da sempre la gente di Chiuso e di Lecco invoca come “beato”. Questo mio impegno entusiasta non è stato dettato semplicemente dall’arrivare a un riconoscimento ufficiale, ma dal mettere maggiormente in evidenza il fatto dell’importanza di additare alla Comunità cristiana e alla stessa società di oggi figure esemplari come punto di riferimento in un momento storico attuale di grande disorientamento culturale e morale.
C’è bisogno di uomini e di donne, di credenti, di persone consacrate e di sacerdoti che siano capaci di mostrare che è bello vivere l’esistenza di ogni giorno nella dinamica del dono di se stessi, nella passione intelligente e continuativa della propria vocazione particolare, nell’assumersi le proprie responsabilità senza scaricarle sugli altri e senza aspettare che gli altri si muovano per primi.
Il terzo incontro con il “beato” Serafino è stato quando ho avuto la notizia che Papa Benedetto XVI aveva finalmente firmato il decreto della beatificazione: ho avuto quasi un’illuminazione che mi ha portato da un lato a esprimere la mia e la "nostra" (perché Chiuso e tutta Lecco sono la mia grande famiglia!) gratitudine alla Santissima Trinità che ho espresso anche con la preghiera da me formulata con l’intercessione del Beato Serafino; dall’altro lato a prevedere e forse a intuire quasi profeticamente un pellegrinaggio discreto, ma significativo di tante persone all’urna del nostro “Beato”: sacerdoti per ravvivare l’entusiasmo del “prendersi cura”, a imitazione del Buon Pastore, del popolo di Dio a essi affidato; giovani per “sentirsi” protagonisti del presente e del futuro della nostra società; adulti per “ricaricarsi” nella propria missione di educatori; anziani per “ravvivare” la sapienza del cuore.
A questo punto – in forza della beatificazione ufficiale del “Buon Curato di Chiuso” dal “cuore grande e dispensatore del perdono” – vorrei smentire il “rammarico” manzoniano di non possedere quella virtù che può tutto illustrare, lanciando una proposta: Chiesa e Società lecchese, mettiamo in atto fantasia, creatività e determinazione per valorizzare sempre di più i “luoghi manzoniani” anche nel territorio in cui visse il beato Serafino, con l’itinerario di Riconciliazione, avendo davanti agli occhi l’incontro tra il Cardinale Federigo e l’Innominato: abbiamo bisogno, in un mondo di conflitti, di pacificazione con Dio e con gli altri.