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Il chierico Dionigi nei ricordi di un compagno di classe

Divagazioni “musicali”

Il ricordo del giovane seminarista Dionigi da parte dell'amico e compagno di studi, don Gianrcarlo Boretti, corre proprio sulle righe del pentagramma: entrambi, dalla fine degli anni '40 al 1957, hanno fatto musica insieme prima a San Pietro martire, poi a Venegono.

Giancarlo Boretti Canonico del Capitolo del Duomo di Milano

29 Agosto 2012

Spero proprio che il nostro arcivescovo, card. Dionigi Tettamanzi, non me ne abbia per queste righe “familiari”, che correranno sul pentagramma dei ricordi: quasi una bella musica composta insieme, dalla fine degli anni ’40 in poi. Sì, i ricordi sono “musicali” nel senso letterale del termine. Dionigi e io abbiamo fatto musica insieme dal 1948 al 1957, dalla quarta ginnasio (nel seminario di S. Pietro martire) all’ultimo anno di teologia (nel seminario di Venegono: precisamente fino alla nostra “Festa dei Fiori”, quando lui accompagnò i canti all’organo e io diressi il coro dei seminaristi). Entrambi organisti – alternandoci alla consolle dell’organo o alla tastiera dell’harmonium – ogni giorno durante tutte le celebrazioni; e c’era molto da fare per accompagnare i canti, nei bei tempi delle cappelle colme di seminaristi. Dire, innanzitutto, qualcosa della sua simpatica presenza, del suo comportamento sereno e ricco di buonumore, della sua semplicità pronta a godere e a lasciarsi godere, ma insieme linearmente ferma e chiara come la sua calligrafia sempre pulita e diligente… lo lascio ad altri. Torniamo alla musica.

Forse pochi, in Diocesi, sanno che nel nostro repertorio vi è un “Santo” in italiano composto da Dionigi Tettamanzi: mica male davvero, provarlo a cantare per credere! Alcuni dei nostri preti lo hanno già eseguito in qualche pellegrinaggio. Se l’arte è lo specchio dell’artista, nella linea melodica del “Santo” del Tettamanzi fluisce, in simplicitate cordis, l’anima del nostro Arcivescovo!

Me lo vedo, ancora, con le mani sui tasti dello strumento: “si muoveva” musicalmente con sicurezza e con briosità, accompagnando l’esecuzione con movimenti caratteristici del capo, del viso e della bocca, sorridendo spesso per la musica eseguita e, quasi prendendosi gioco, in una specie di umiltà spontanea: lungi dal darsi delle arie, fresco e fedele nel servizio musicale-liturgico. E ti ricordi del tuo insegnante, il carissimo Maestro Daniele Maffeis? Il suo stile, il suo animo e il suo brio sono passati nell’allievo diligente, che al termine di ogni lezione si sentiva ripetere (con marcata cadenza bergamasca) un abituale e incoraggiante «Vada avanti, vada avanti!». Profetico maestro: Dionigi… è proprio andato avanti! Eseguivi, poi, una “sonatina” che amavi particolarmente e con la quale ti divertivi e volevi divertire: se non vado errato, era una piccola composizione del Mandelli, quasi un leit-motiv scherzoso e rasserenante. Chissà se il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica, oggi, te la permetterebbero ancora durante le sacre celebrazioni!

Attingo in altri ricordi. Me ne sovviene uno (sempre musicale) che rimprovera ancora la mia “indisciplina” ed esalta la tua “obbedienza”. Si era negli anni del liceo, durante una novena del Natale. Allora si facevano gli “esami trimestrali” e si aveva una gran voglia di finirli presto e di correre a casa per le ferie natalizie. Padre Baj, il nostro direttore spirituale, ci infervorava con la Novena del Bambino, desiderando che in cappella fossero eseguiti dei bei canti (popolari). Noi si voleva cantare le Litanie della Madonna “in piva”, con una melodia natalizia a due voci: quel tanto che bastava a sfogare un poco i nostri fervorosi “istinti” religiosi. Ahimé! La cosa non piaceva al “prefetto” incaricato della musica sacra nelle celebrazioni liturgiche e nei pii esercizi. Per salvare il decoro severo del culto e la “sobrietà” parsimoniosa del canto, niente litanie “in piva”! Il sottoscritto fu invitato a cercare un’altra melodia, sacra e castigata. Furbo (o ingenuo), vado a prenderne una che possa favorire e accontentare i compagni seminaristi con la possibilità di un piacevole controcanto. Ma interviene il vicerettore decretando che neppure questa s’ha da fare! «Allora – dissi al vicerettore – io non suono!». E quegli: «Chiamami Dionigi!». Tu hai suonato delle belle litanie, caste e moderate come conveniva a una seria comunità di chierici (un po’ focosi e ribelli con il “prefetto di canto”).

Se ricordo bene, quasi angelo custode, ti stava accanto presso la consolle dell’organo il vicerettore stesso: eri un poco tremebondo per la tristissima vicenda, ma la tua “docilità” ricompose la mia “ribellione” e la nostra “sacralità” celebrativa. Le cose non potevano che andare così, aggiustate dal futuro Arcivescovo di Milano! Basta con i ricordi, e con il “tu” familiare, che ci hanno riportato (spero piacevolmente) al secolo XX e al millennio passato. Ora, Eminenza, la “musica” per lei è tutta “un’altra musica”: il buon Dio le ha messo tra le mani – e nel cuore – un altro “spartito” e altri “pentagrammi” da riempire con le “note musicali” più belle possibili. Mi sembra di risentire le parole suadenti del suo Maestro Daniele Maffeis: «Vada avanti, vada avanti!». Vorrei augurarle anch’io (insieme ai nostri compagni di classe con i quali quest’anno festeggiamo il 50° di ordinazione sacerdotale) di continuare, come allora, a fare un po’ di musica – di comporla e di eseguirla, o almeno di ascoltarla – tra un’udienza e l’altra, dopo una visita pastorale e prima di scrivere una lettera alla nostra diocesi. Ma sono certo che, con o senza un suo nuovo “Santo” o una pagina distensiva al pianoforte e all’organo, di “musica bella” (nel suo “genere” e con il suo “stile”) ne farà ascoltare molta ai suoi preti e ai fedeli tutti.