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Il caso zingari: ritorna l’antigitanismo?

Asociali, mendicanti, a volte con comportamenti criminali, i gitani sono ormai considerati i "diversi" per eccellenza. Ma non possono diventare i "capri espiatori" delle nostre paure... Un libro lucido e coraggioso, a più voci, affronta questo tema d'attualità.

5 Giugno 2008

23/05/2008

di Silvio MENGOTTO

Nella presentazione al volume “Il caso zingari”, Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale di Milano, con lucidità dice che nei confronti dei rom «non bisogna vergognarsi di avere paura, ma bisogna chiedersi da dove nasce la paura», così ci si attrezza per affrontarla cercando soluzioni e proposte positive perché l’identità si costruisce anche nel comprendere la diversità.

Il nuovo libro edito da Leonardo International è un contributo in questa direzione. Contiene testi di vari e qualificati autori. Marco Impagliazzo si sofferma sull’antigitanismo, Amos Luzzato con la riflessione che unisce ebrei e zingari nella persecuzione nazista. Giovanni Maria Flick con un capitolo sugli zingari quali cittadini europei. Sulla condizione giuridica degli zingari un prezioso contributo di Paolo Morozzo della Rocca.

Il libro, che porta la pungente introduzione di Andrea Riccardi, professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Roma e fondatore della comunità Sant’Egidio, vuole contribuire a sviluppare una riflessione pacata sui rom e sinti perché non sono all’origine, e causa, del disagio e dell’insicurezza odierna.

La politica degli sgomberi ha una strategia di immagine vincente, ma sposta continuamente il problema senza risolverlo. Eppure in Europa sono molti gli esempi positivi ai quali guardare come la Francia, dove i campi sono solo un passaggio all’integrazione, oppure la Germania dove non esistono campi perché i rom vivono nelle case. Su rom e sinti, dice Andrea Riccardi, non solo «loro sono un problema, ma su di essi si scaricano ( e si rivelano ) quelli che sono i nostri problemi». Ma questa insicurezza tra la gente ha «ben altre radici» e viene da lontano. E’ «l’espressione della vertigine della globalizzazione che ha preso le nostre società».

La globalizzazione, insieme al consumismo e la secolarizzazione, ha eroso i tradizionali punti di riferimento. Come esempio basti pensare alla crisi della famiglia. La stessa secolarizzazione ha reso incerto e remoto il riferimento alla tradizione. «In fondo lo zingaro, con la sua diversità, si presta bene ad essere uno degli elementi che ci procura insicurezza. Asociale, mendicante, con comportamenti criminali, con i furti, presenza invasiva per strada o nei suoi campi, il gitano è il diverso per eccellenza, talvolta fastidiosamente diverso».

Lo stesso Marco Ravelli ha definito i rom come “l’altro radicale” . Nella nostra società del diritto il crimine va punito, ma «la punizione del criminale non ci toglierà di dosso l’ombra dell’insicurezza che ci inquieta… Il crimine va colpito. Ma la criminalizzazione di un gruppo, come i rom, è antigitanismo».

Giustamente Martin Luter King dice: «Togliere l’assassino, non elimina l’assassinio» . In fondo l’avere un «nemico della nostra sicurezza, come gli zingari ( tanto deboli ), è rassicurante e, alla fine, poco minaccioso. Combattere qualcuno dà la sensazione di presidiare attentamente le nostre frontiere sociali o quelle del futuro». La nostra “pace” non è solo turbata dal terrorismo islamico, ma anche dal confronto economico e politico con l’Asia. C’è bisogno di pacate riflessioni sull’argomento.

Questo libro «sul caso zingari vuole essere un contributo a una cultura politica di ampio respiro, non appiattita sull’emozione del momento o sugli archetipi del nemico, nomade e straniero». I rom in Italia non sono tutti immigrati, in parte (circa 70.000 su 150.000 ) sono cittadini italiani.

Per Moni Ovadia l’Occidente ha in sospeso un enorme debito nei confronti del popolo rom. Ancora pesa la tragedia dei campi nazisti dove sono stati uccisi anche gli zingari. La Shoah non va allargata agli zingari perché il loro sterminio è un altro volto repellente del nazismo. Il genocidio zingaro non è frutto della follia nazista. I nazisti misero in pratica qualcosa che era stato elaborato nella cultura razziale del proprio tempo e dei decenni precedenti.

Marco Impagliazzo lucidamente afferma che «dopo la fine della guerra, sullo sterminio degli zingari calò il silenzio». Se a Norimberga la giustizia si è fatta strada per i sei milioni di ebrei sterminati, non così per gli zingari i quali non furono chiamati al banco dei testimoni, mentre le loro richieste di risarcimento vennero respinte. Sull’argomento della persecuzione degli zingari da parte del nazismo è utile la lettura del libro La persecuzione nazista degli zingari di Guenter Lewy.

Questo nuovo libro, dunque, è «una rimeditazione di un dramma, la discussione di un caso, ma anche la proposta di un ripensamento delle politiche per gli zingari a partire dalla scuola, cioè dall’investimento sui più giovani».

Il caso zingari
Edit. Leonardo International
(Milano, 2008, pp. 128, Euro 12.00)