Share

Thomas Merton, la solitudine e la parola

«Un profeta, che ha sempre saputo vivere ai margini e al cuore della Chiesa e della società del suo tempo»: così il priore della Comunità di Bose Enzo Bianchi, ricorda il monaco trappista e scrittore di cui ricorre il 40° della morte. Di Merton, che ha saputo porre in dialogo il silenzio della trappa con il mondo contemporaneo e le culture dell'Oriente, presentiamo un ritratto a più voci.

11 Dicembre 2008

10/11/2008

«Impresa non facile – dice Enzo Bianchi – quella di giungere al cuore della testimonianza umana, cristiana e monastica di Merton; una ricerca mai finita. Da monaco autentico ha perseverato in un cammino di unificazione interiore: più si dilatava la sua apertura verso universi nuovi, e più lui veniva ritirandosi in una vita eremitica e solitaria».

Uno "spettatore colpevole".
«Da monaco scrittore a spettatore colpevole»: parafrasando il titolo del diario di Merton (Conjectures of a guilty bystander), Bonnie Thurston , teologa e già presidente della International Merton Sociey, tratteggia l’evoluzione spirituale del religioso. Dopo l’incontro con il buddhismo zen, afferma Thurston, «il sé abbandonò il centro del palcoscenico e i prodigiosi doni di Merton si impiegarono a favore degli altri, nel suo prendere la parola contro la minaccia atomica e la guerra e a sostegno dei diritti civili, della giustizia e del rinnovamento monastico post Vaticano II».

Uno spostamento che l’arcivescovo di Canterbury e primate della Chiesa anglicana, Rowan Williams, definisce allontanamento «dal sé per andare verso la realtà qui davanti a noi» tenendosi sempre lontano da qualsiasi cliché. Merton scrisse «con finezza della guerra, della pace e della minaccia nucleare», osserva Williams, ma «si rifiutò di diventare il guru di famiglia del movimento per la pace». L’aspetto notevole «di tanta parte della sua corrispondenza è il carattere ventriloquo: egli parla in maniera inquietante con la voce della persona a cui sta scrivendo, dallo studioso sufi alla ragazzina adolescente».

Tre protagonisti del Novecento.
«Letteratura, poesia, arti figurative, politica, filosofia nella vita inquieta di Thomas Merton, ma alla radice c’è sempre la contemplazione come incontro personale con Dio » dice il filosofo Piero Viotto, sottolineando la «condivisione di convinzioni profonde sul significato della contemplazione e della letteratura, della religione e della politica», tra Merton, il monaco cistercense Jean Leclerc e il filosofo francese Jacques Maritai n, impegnati «nel travaglio della vita quotidiana a testimoniare la verità negli ambienti culturali più diversi». Rammentando che Merton muore in Thailandia, dove si era recato su invito di Leclerc per un incontro panasiatico cui erano stati invitati i rappresentanti dei monachesimi non cristiani, Viotto ne rievoca « l’atteggiamento di un dialogo interreligioso che non rinuncia alla propria identità, ma riconosce i valori insiti nelle tradizioni altrui , e cerca la via per diffondere il Vangelo nelle culture più diverse ».

Nuova libertà.
«Alcuni dei suoi interessi più profondi corrispondono da vicino ad alcuni dei bisogni più profondi del nostro tempo», evidenzia Donald Allchin, amico di Merton e direttore del Centro di spiritualità cristiana di Oxford. Oltre al «bisogno urgente di inoltrarsi sulla strada del dialogo interreligioso», impegnarsi per la pace, la verità e la riconciliazione, per Allchin «c’è soprattutto il bisogno urgente di riscoprire una pienezza e una libertà nel nostro modo di vivere, pregare e pensare la tradizione cristiana, una nuova consapevolezza dell’onnicomprensiva umanità divina di Cristo, che non lascia nessuno fuori dalla portata dell’amore divino».

Il Concilio.
«Probabilmente non arriveremo mai a sapere che consistenza abbia il ruolo giocato dagli scritti di Merton» nel Concilio, afferma Jim Forest, uno dei suoi più stretti collaboratori, oggi direttore della rivista "In Communion". Forest allude in particolare a "La pace nell’era postcristiana", distribuita nel dicembre 1962 a Hildegard e Jean Goss-Mayr, segretari del Movimento internazionale di riconciliazione (Mir) mentre il mondo era sull’orlo della guerra nucleare. I Goss-Mayr erano molto vicini al card. Ottaviani, segretario del Sant’Uffizio, e riuscirono a far circolare lo scritto fra i teologi e i vescovi che stavano stendendo il cosiddetto "schema tredici" che «dopo due anni di stesure e ristesure venne pubblicato nel 1965 come costituzione pastorale, la Gaudium et Spes».

Messaggio di speranza.
«Il messaggio di Merton – conclude Paul Pearson, presidente della International Merton Sociey – è che la speranza cristiana può resistere nel vuoto in cui ogni altra speranza rimane congelata; è quello di essere umani in quest’era quanto mai inumana, e conservare l’immagine dell’uomo poiché è l’immagine di Dio ». A tale fine e per scongiurare il rischio di «coprirsi con una corazza e farsi spuntare un corno» come i rinoceronti, nello scritto La pioggia e i rinoceronti, Merton suggerisce di riscoprire la solitudine, di «prestare attenzione allo spirito della notte e all’aria dell’alba»; di redimerci «mediante la compassione per gli altri e l’esperienza della misericordia di Dio» .