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Danza

Ottant’anni sulle punte

Il compleanno di Walter Venditti, testimone della storia del balletto a Milano e in Italia

Rosangela VEGETTI Redazione

13 Febbraio 2009

Aveva otto anni, Walter Venditti, quando partecipò al suo primo balletto – Gli Uccelli, su musica di Ottorino Respighi – al Teatro di Roma nel 1937. Nel 1945 approdò alla Scala per la stagione estiva e invernale di balletto: vi è rimasto per trent’anni, collaborando anche con altri teatri per l’esecuzione e la messa in scena di famosi balletti. Il prossimo 18 febbraio festeggia i suoi ottant’anni, ancora brillantemente in attività con una propria scuola di danza accademica a Milano. Persona schiva, ma con una grande carica di ironia, parla con entusiasmo della sua vita tra musica, balletti e grandi personalità artistiche: testimone e protagonista di mezzo secolo di balletto.

Maestro, lei a diciassette anni era già solista in balletti classici di grande rilievo e sotto la guida di coreografi di prestigio: com’era allora il mondo della danza?
Ho iniziato alla Scala subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando si lavorava al Palazzo dello Sport vicino alla Fiera, perché allora il teatro era in rifacimento dopo i bombardamenti. Lì è iniziata la mia storia alla Scala, una trentina d’anni gloriosi: ho fatto tutta la carriera, da ballerino di fila a primo ballerino. È stato un periodo molto interessante, perché la Scala aveva a disposizione grandi coreografi, i migliori dell’epoca: venivano quasi tutti dai balletti russi, a partire da Balanchine (soprannominato da noi ballerini “Prugnasecca”), e hanno fatto la storia del balletto dell’epoca, per poi disperdersi per il mondo creando corpi di ballo di grande fama e animando le grandi correnti di ispirazione del balletto moderno. Un periodo davvero grande per la danza: siamo arrivati a fare 54 spettacoli nella stagione invernale, adesso se ne fanno 7-8… Poi ho anche insegnato alla Scala, finendo la mia carriera nel 1975: ho potuto vedere la nascita e la crescita della scuola, fin da quando avevamo una saletta microscopica dove era faticoso muoversi.

In mezzo secolo tante cose sono cambiate anche nel mondo del balletto…
Certamente. Basti pensare che fino al 1953/54 il balletto romantico dell’Ottocento in Italia era sconosciuto, anche perché durante il fascismo non si poteva parlare francese e inglese, e tutto quanto veniva dall’estero per noi era tabù. Quando abbiamo fatto per la prima volta La bella addormentata per noi si è aperto un mondo sconosciuto. In più in quel periodo la Scala non aveva scuola di ballo maschile e i ruoli maschili venivano fatti da donne o da ballerini che venivano dalle scuole di Roma e Napoli. Il primo ragazzo entrato nella scuola scaligera fu Roberto Fascilla, tuttora vivente. E pensare che oggi la Scala manda ballerini in tutto il mondo e dispone di un “vivaio” enorme di giovani talenti, appassionati della danza…

Che ne dice del programma attuale di balletto alla Scala?
Il programma che viene proposto è sempre di tradizione. Vorrei che facessero qualcosa di più. Ci sono balletti non dico moderni, ma attuali e di largo respiro che la Scala potrebbe proporre. Quello che manca oggi è il repertorio, finito con la fine dei vecchi maestri, che lo conoscevano a memoria e arricchivano la stagione dei balletti dal 15 settembre al 30 ottobre, con un programma vario per ogni sera. Io ho presentato anche balletti di tema religioso di portata classica, davvero stupendi. Il pubblico apprezza sempre il balletto classico e di fatto ci sono ballerini e ballerine bravissimi: mancano le idee e le proposte. Aveva otto anni, Walter Venditti, quando partecipò al suo primo balletto – Gli Uccelli, su musica di Ottorino Respighi – al Teatro di Roma nel 1937. Nel 1945 approdò alla Scala per la stagione estiva e invernale di balletto: vi è rimasto per trent’anni, collaborando anche con altri teatri per l’esecuzione e la messa in scena di famosi balletti. Il prossimo 18 febbraio festeggia i suoi ottant’anni, ancora brillantemente in attività con una propria scuola di danza accademica a Milano. Persona schiva, ma con una grande carica di ironia, parla con entusiasmo della sua vita tra musica, balletti e grandi personalità artistiche: testimone e protagonista di mezzo secolo di balletto.Maestro, lei a diciassette anni era già solista in balletti classici di grande rilievo e sotto la guida di coreografi di prestigio: com’era allora il mondo della danza?Ho iniziato alla Scala subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando si lavorava al Palazzo dello Sport vicino alla Fiera, perché allora il teatro era in rifacimento dopo i bombardamenti. Lì è iniziata la mia storia alla Scala, una trentina d’anni gloriosi: ho fatto tutta la carriera, da ballerino di fila a primo ballerino. È stato un periodo molto interessante, perché la Scala aveva a disposizione grandi coreografi, i migliori dell’epoca: venivano quasi tutti dai balletti russi, a partire da Balanchine (soprannominato da noi ballerini “Prugnasecca”), e hanno fatto la storia del balletto dell’epoca, per poi disperdersi per il mondo creando corpi di ballo di grande fama e animando le grandi correnti di ispirazione del balletto moderno. Un periodo davvero grande per la danza: siamo arrivati a fare 54 spettacoli nella stagione invernale, adesso se ne fanno 7-8… Poi ho anche insegnato alla Scala, finendo la mia carriera nel 1975: ho potuto vedere la nascita e la crescita della scuola, fin da quando avevamo una saletta microscopica dove era faticoso muoversi.In mezzo secolo tante cose sono cambiate anche nel mondo del balletto…Certamente. Basti pensare che fino al 1953/54 il balletto romantico dell’Ottocento in Italia era sconosciuto, anche perché durante il fascismo non si poteva parlare francese e inglese, e tutto quanto veniva dall’estero per noi era tabù. Quando abbiamo fatto per la prima volta La bella addormentata per noi si è aperto un mondo sconosciuto. In più in quel periodo la Scala non aveva scuola di ballo maschile e i ruoli maschili venivano fatti da donne o da ballerini che venivano dalle scuole di Roma e Napoli. Il primo ragazzo entrato nella scuola scaligera fu Roberto Fascilla, tuttora vivente. E pensare che oggi la Scala manda ballerini in tutto il mondo e dispone di un “vivaio” enorme di giovani talenti, appassionati della danza…Che ne dice del programma attuale di balletto alla Scala?Il programma che viene proposto è sempre di tradizione. Vorrei che facessero qualcosa di più. Ci sono balletti non dico moderni, ma attuali e di largo respiro che la Scala potrebbe proporre. Quello che manca oggi è il repertorio, finito con la fine dei vecchi maestri, che lo conoscevano a memoria e arricchivano la stagione dei balletti dal 15 settembre al 30 ottobre, con un programma vario per ogni sera. Io ho presentato anche balletti di tema religioso di portata classica, davvero stupendi. Il pubblico apprezza sempre il balletto classico e di fatto ci sono ballerini e ballerine bravissimi: mancano le idee e le proposte.