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Al Museo Diocesano

L’arte sacra secondo Silvio Consadori

Nel centenario della nascita, una grande antologica dedicata al pittore bresciano, uno dei protagonisti dell'arte italiana del Novecento, stimato da papa Paolo VI. In mostra i suoi poetici paesaggi e i suoi lavori a tema religioso

di Luca FRIGERIO Redazione

4 Febbraio 2010

«Io mi dichiaro fortunato, quando il mattino prendo in mano il pennello: è un dono che non merito, ma ce l’ho…». Era un bresciano di poche parole, Silvio Consadori, che sintetizzava in uno sguardo emozioni e sentimenti profondi. Proprio come la sua pittura: essenziale, intensa, vera della vita vissuta, spirituale della fede dei santi. Forse soltanto quando è scomparso, a metà degli anni Novanta, si è compreso davvero quanto egli ha saputo dare all’arte del nostro tempo, con la sua fedeltà, laica e mistica a un tempo, alla tradizione più alta, con la sua capacità di reinventarla, senza tradirla. Entrando, e facendo entrare, nel cuore del sacro.
La prima, e quindi unica, mostra personale Consadori l’ha permessa a 83 anni, pochi mesi prima di morire: non perchè non ce ne fossero state le occasioni, ma perchè non voleva perdere tempo nell’apparire, quando c’era tanto da fare, tanto da creare. Oggi, nel centenario della nascita, il Museo Diocesano di Milano ne ripercorre l’intera vita artistica con una rassegna splendida, che riempie gli occhi di colori e di bellezza. Il dovuto, necessario omaggio a un maestro nascosto – perchè schivo e modesto, quindi ancora più grande – della pittura italiana del ventesimo secolo. «Io mi dichiaro fortunato, quando il mattino prendo in mano il pennello: è un dono che non merito, ma ce l’ho…». Era un bresciano di poche parole, Silvio Consadori, che sintetizzava in uno sguardo emozioni e sentimenti profondi. Proprio come la sua pittura: essenziale, intensa, vera della vita vissuta, spirituale della fede dei santi. Forse soltanto quando è scomparso, a metà degli anni Novanta, si è compreso davvero quanto egli ha saputo dare all’arte del nostro tempo, con la sua fedeltà, laica e mistica a un tempo, alla tradizione più alta, con la sua capacità di reinventarla, senza tradirla. Entrando, e facendo entrare, nel cuore del sacro. La prima, e quindi unica, mostra personale Consadori l’ha permessa a 83 anni, pochi mesi prima di morire: non perchè non ce ne fossero state le occasioni, ma perchè non voleva perdere tempo nell’apparire, quando c’era tanto da fare, tanto da creare. Oggi, nel centenario della nascita, il Museo Diocesano di Milano ne ripercorre l’intera vita artistica con una rassegna splendida, che riempie gli occhi di colori e di bellezza. Il dovuto, necessario omaggio a un maestro nascosto – perchè schivo e modesto, quindi ancora più grande – della pittura italiana del ventesimo secolo. Il Moretto, il Savoldo, il Romanino scorrevano nelle vene pittoriche di Consadori, come un’eredità genetica, un patrimonio antico che affiorava prepotente nell’osservazione del vero: naturalismo lombardo ha nome questa “tara”, e il nostro non ha mai fatto nulla per sottrarvisi. Scuole poche, studio molto. Con sacrificio di una madre vedova, sua prima modella, con la consapevolezza che la vita non sarebbe stata facile, ma da conquistare pezzo a pezzo, giorno dopo giorno. L’umiltà, Consadori, l’ha imparata così: carpendo i segreti dell’arte da un pittore riottoso, impastando colori e calcina nella bottega di un frescante di provincia, trinciando piombi per vetrate, ancora ragazzo… Poi vennero gli anni di Parigi, i premi vinti, i successi nei concorsi, l’insegnamento a Brera, per una vita intera. Ma in fondo con quel sentirsi sempre e comunque un artigiano, un fattore d’arte, con orgoglio, senza complessi d’inferiorità. Perchè il talento c’era, e Consadori l’ha messo a frutto, evangelicamente parlando. Ritratti dell’anima Milano era diventata la sua casa, Roma il suo cantiere, Burano, in Laguna, il suo rifugio. I paesaggi, urbani, montani o marini che fossero, il modo per esprimere un mondo interiore osservando quello esteriore: ritratti dell’anima, verrebbe da chiamarli. Con la stessa poesia di Cezanne, con la stessa magia di Carrà. Una piccola tela, Sera sul lago, svela di Consadori, crediamo, più di fitte pagine biografiche: una montagna incombente eppur dolce; il crepuscolo che scende rapido in spire rosate; il contrasto fra la morbidezza degli alberi e la spigolosità dei fabbricati; una ciminiera puntata verso il cielo come un laico campanile. E il tutto si specchia nell’acqua, tra sogno e realtà, senza contraddizioni, ma in una pace finalmente conquistata. E si era nel 1947, quando si cominciava a ricostruire una società nuova dopo gli orrori della guerra e le negazioni di un regime. È già sacro, questo paesaggio. Ma Consadori ha saputo, voluto rivestire di immagini anche la pagina evangelica. Rischiando: non per inadeguata capacità – altissima, invece -, ma perchè controcorrente, impopolare, in tempi in cui si oscillava ancora tra vuoti oleografismi e pretenziosi concettualismi. Silvio, invece, ha preso il pane di Emmaus e lo ha spezzato in una corte ancora contadina, con uomini e donne appena ripuliti dai campi, che sorridono al manifestarsi del Risorto; ha preso la Sacra Famiglia e le ha fatto percorrere le strade delle nostre città, fra alti muri ciechi al bisogno, fra alberi nudi di un’umanità che ha l’inverno dentro, perchè non sa accogliere. Giovan Battista Montini, prima come arcivescovo, poi come papa, intuì in Consadori questa nostalgia di cielo, questa ricerca di verità. E lo volle vicino, per consolarsi un poco con la sua arte. Sì, davvero sacra. Un “itinerario” milanese La mostra antologica di Silvio Consadori è aperta fino al 28 febbraio presso il Museo Diocesano a Milano (Corso di Porta Ticinese, 95). Orari: da martedì a domenica, dalle 10 alle 18. Info, 02.89420019. Una pala d’altare di Consadori, dedicata a san Martino di Porres, è conservata in Santa Maria alle Grazie a Milano. Opere dell’artista sono inotre esposte in modo permanente presso la Galleria d’arte sacra dei contemporanei a Villa Clerici. –