Share

Alla Galleria San Fedele

Nel segno della Croce: da padre Matteo Ricci a Nagasawa

Nel quarto centenario della morte, una mostra ricorda il grande missionario gesuita mettendo in dialogo un'antica croce processionale ambrosiana con una nuova installazione dell'artista giapponese. Opere apparentemente diverse, eppure intimamente legate.

di Luca FRIGERIO Redazione

11 Febbraio 2010

In alto è appesa una croce antica, rinascimentale, finemente lavorata, patrimonio di una delle chiese del centro storico di Milano. In basso c’è un’altra croce, forse immediatamente meno riconoscibile, ma ugualmente suggestiva, fortemente evocativa, opera di un artista contemporaneo originario dell’Estremo Oriente: Hidetoshi Nagasawa. Che cos’hanno in comune questi due manufatti, apparentemente così diversi, così distanti per epoca, lavorazione e provenienza? Molto, direbbe certamente padre Matteo Ricci. In alto è appesa una croce antica, rinascimentale, finemente lavorata, patrimonio di una delle chiese del centro storico di Milano. In basso c’è un’altra croce, forse immediatamente meno riconoscibile, ma ugualmente suggestiva, fortemente evocativa, opera di un artista contemporaneo originario dell’Estremo Oriente: Hidetoshi Nagasawa. Che cos’hanno in comune questi due manufatti, apparentemente così diversi, così distanti per epoca, lavorazione e provenienza? Molto, direbbe certamente padre Matteo Ricci. “Ponte” fra Oriente e Occidente Del missionario gesuita ricorre quest’anno il quarto centenario della morte. Una figura straordinaria, la sua. E sotto diversi aspetti. Padre Ricci, infatti, seppe gettare un ponte fra Oriente e Occidente, aprendo nuovi orizzonti e facendo conoscere, all’Italia e all’Europa del XVII secolo, mondi ancora per lo più sconosciuti. In tanti anni di apostolato in terre lontane, non venne mai meno alla sua vocazione d’annunciare il Vangelo, e tuttavia lo fece sempre attraverso il confronto e il rispetto reciproco. Di più: attraverso l’amicizia. No, non era un sentimentale nè un sempliciotto, il dottissimo gesuita. Ma aveva ben compreso che le differenze e le diversità si superano quando c’è un vero dialogo, un’autentica fiducia. «Il mondo senza amicizia», scriveva il missionario, «sarebbe come il cielo senza sole e come un corpo senza occhi»: cioè cieco, privo di luce. Lui questa luce ha voluto portarla a tutti, a cominciare proprio da coloro che erano più lontani: la luce di Cristo.Per questo la mostra proposta dal Centro San Fedele di Milano, che si inserisce in una serie di iniziative ideate per ricordare Matteo Ricci, presenta proprio il tema della Croce. Quella Croce che per i cristiani è segno della propria identità, ma che è anche simbolo universale di speranza e di comunione, con quei suoi quattro bracci tesi verso i diversi punti cardinali, con quel suo puntare al cielo pur essendo conficcata in terra… Unisce, la Croce. Traccia linee di congiunzione e d’incontro. Proprio secondo lo stile del missionario gesuita. Un’eredità da Santa Maria della Scala La croce processionale, per la prima volta presentata al pubblico e appositamente restaurata, appartiene alla chiesa milanese di San Fedele, che a sua volta l’ha “ereditata” dal santuario scomparso di Santa Maria alla Scala. Si tratta di un oggetto interessante, realizzato probabilmente nel XV secolo, ma su cui ogni epoca sembra aver voluto lasciare la propria impronta e la propria testimonianza di fede. Quattrocentesca, infatti, è la struttura in rame, decorata a bulino e impreziosita con gemme e pietre dure. Al secolo successivo, invece, potrebbero appartenere i bassorilievi in argento e i medaglioni lavorati a niello, in un’esuberanza ornamentale che ha pochi riscontri in area ambrosiana. Su questa croce, infatti, potrebbero essere confluiti anche “pezzi” provenienti da altri oggetti sacri, aggiunti in epoche diverse, sia per colmare perdite e lacune, sia in una sorta di rafforzamento di determinati significati simbolici. Su un lato, così, troviamo una raffigurazione della Trinità, “attorniata” dai simboli degli evangelisti, da personaggi in abiti episcopali e dall’Assunta; sull’altro, invece, è presente il Cristo crocifisso con Maria, Giovanni, Maddalena, il Battista e angeliche figure dolenti. Incastonati sui bracci, da una parte e dall’altra, ci sono poi piccoli tondi incisi con figure di santi e di martiri cari alla tradizione milanese. Tra finito e infinito Tanto questa croce processionale affascina per le sue stratificazioni storiche e artistiche, che sentiamo comunque come note e familiari, tanto la moderna croce di Nagasawa, a un primo sguardo, ci spiazza e ci sorprende. Eppure fra le due opere, come si diceva, c’è una consonanza precisa: una risonanza, persino. È il mistero e lo scandalo della croce visto e interpretato con gli occhi e la sensibilità dell’Estremo Oriente. Il marmo con cui è composta è solenne e fragile allo stesso tempo, come la natura umana: la sezione circolare dei “tubi” con cui è composta rimanda alle canne di bambù, flessibili per antonomasia, ma che contrastano con la rigidità della pietra. Tutto è in equilibrio, in questa croce. Una stabilità che sfida la precarietà, e che è frutto di un laborioso lavoro di posizionatura, fino all’individuazione di una piena armonia. Finito e infinito, dunque, contingenza ed eternità esprime la croce di Nagasawa. Così come quella di Santa Maria alla Scala ci parla di materia e di spirito, di morte e di resurrezione. Entrambe sono simbolo di salvezza, segno di speranza per l’umanità redenta. Come non si stancava di annunciava, ai confini della terra, l’apostolo Matteo Ricci. Fino al 6 marzo La mostra è aperta fino al 6 marzo presso la Galleria San Fedele a Milano (Galleria Hoepli 3), da martedì a sabato, dalle ore 16 alle 19 (al mattino su richiesta). L’esposizione è completata da documenti e opere antiche appartenenti alla memoria spirituale delle Compagnia di Gesù e altre installazioni di autori contemporanei sul tema della Croce. Ingresso libero. Info, tel. 02.86352233 –