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Fino al 24 marzo

«In hoc signo»: quel vessillo di Cristo
che divenne simbolo di salvezza

Proprio quel «segno celeste di Dio» apparso a Costantino sarebbe diventato l'emblema della nuova età cristiana. Come racconta la grande mostra in corso a Palazzo Reale di Milano, ideata dal Museo Diocesano per celebrare i 1700 anni dall'Editto sulla libertà religiosa.

di Luca FRIGERIO

13 Marzo 2013

Fu concepito esattamente 1700 anni fa, quel celebre Editto di Milano che sanciva la libertà religiosa nei territori dell’impero romano. Fin dal febbraio dell’anno 313 dopo Cristo, infatti, l’augusto Costantino si trovava a Mediolanum per incontrare il collega Licinio, a cui aveva promesso in sposa la sorella Costanza, per stabilire una nuova alleanza e affrontare, fra le altre questioni, anche quella della politica da adottare nei confronti dei cristiani.

Costantino, del resto, la palma imperiale d’Occidente l’aveva ottenuta solo pochi mesi prima, quando aveva sconfitto il rivale Massenzio alle porte di Roma. Un trionfo che sembrava scritto nel destino del giovane imperatore, come se fosse stato favorito, si diceva, dallo stesso intervento divino. Racconta Lattanzio, infatti, che la decisiva battaglia di Ponte Milvio in un primo momento pareva volgere a favore di Massenzio, numericamente più forte e attestato su posizioni migliori. Ma, ispirato in sogno da una visione, Costantino aveva fatto apporre sugli scudi dei suoi soldati il monogramma Chi-Rho, cioè le iniziali del nome del Dio cristiano (Christós), riuscendo così a sbaragliare le forze avversarie e ottenere la vittoria finale.

Proprio quel «segno celeste di Dio» sarebbe diventato uno dei simboli più diffusi e conosciuti della nuova età cristiana. Come ben racconta la grande mostra Costantino 313 d.C., in corso a Palazzo Reale di Milano fino al prossimo 17 marzo, evento ideato dal Museo Diocesano per celebrare l’importante anniversario di quel provvedimento imperiale – impropriamente chiamato “editto”, in verità – che segnò una svolta epocale per la storia dell’Europa.

Significativi, infatti, sono i pezzi nella rassegna ambrosiana che illustrano l’affermarsi dei monogrammi cristologici e la loro evoluzione, anche da un punto di vista simbolico. Fra questi vi è la ricostruzione del famoso labaro con il Chrismon che Costantino pose alla testa delle sue legioni, a cominciare proprio dalla battaglia di Ponte Milvio. È Eusebio a darcene una descrizione particolareggiata, in un racconto di quell’evento più articolato rispetto a quello di Lattanzio: il vescovo di Cesarea, infatti, che riporta anche la celebre visione di una croce luminosa nel cielo accanto alla scritta «Vinci con questo segno!», parla di «una lunga asta con un braccio trasversale sul quale era appeso un drappo di porpora riccamente intessuto d’oro», che Costantino avrebbe fatto realizzare ai suoi artigiani nell’imminenza dello scontro con Massenzio.

Il labaro con il Chi-Rho venne ben presto ripreso da Costantino anche nelle monete, che l’imperatore, artefice di una radicale riforma monetaria basata sul solido aureo, considerava come strumento privilegiato per promuovere una propria ben definita immagine presso i sudditi cristiani e sollecitarne il consenso. Ma il cristogramma compare all’indomani dell’editto di tolleranza anche su oggetti personali come anelli e monili, quale libera espressione, ormai, dell’adesione alla religione cristiana di coloro che li indossano. Si tratta a volte di gioielli preziosi (come quelli che in mostra provengono da Vienna e Londra), ma più spesso di fedine di bronzo di fattura popolare. In alcuni casi, inoltre, accanto al Chrismon compaiono anche altri simboli: come la colomba, ad esempio, in un anello-sigillo dei Musei Vaticani, emblema dell’anima redenta nella pace di Dio e richiamo alle virtù cristiane dell’umiltà, della mansuetudine e della carità.

Affine al cristogramma è poi lo staurogramma, altro segno cristiano di grande diffusione già nel IV secolo, che è una delle prime manifestazioni visive della croce, capace di sintetizzare, attraverso l’incontro delle lettere Tau e Rho, la parola greca che la esprime – Stauros – e la sua stessa forma. Il risultato figurativo è una croce latina il cui braccio superiore termina in una specie di “occhiello”, come si può osservare, ad esempio, in un modello ritrovato ad Aquileia, che presenta anche una caratteristica assai comune in simili monogrammi: dai bracci traversali, infatti, pendono le lettere greche Alpha e Omega, richiamo evidente alle parole di Cristo che leggiamo nell’Apocalisse («Io sono l’Alpha e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente»).

In alcune rappresentazioni dell’epoca, tuttavia, soprattutto relative a contesti funerari, troviamo che l’Omega, sorprendentemente, anticipa l’Alfa, e non si tratta di un errore, ma di una scelta ben consapevole… Una “variante” affascinante e densa di significato, su cui torneremo presto, in un prossimo articolo.

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testo e foto di Luca FRIGERIO

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