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Personaggi

«L’amore per Beethoven
mi ha salvata dall’inferno del lager»

In uno short docu, "The Lady in number 6" di Malcom Clarke, premiato con l'Oscar, la storia straordinaria di Alice Herz Sommer. Ebrea e appassionata di pianoforte sopravvive al lager e al dolore. Quei 150 concerti per i prigionieri: "Questa musica per loro era come il cibo, la musica era il nostro cibo"

di Cristiana DOBNER

7 Marzo 2014

Una donna eccezionale ha attraversato la nostra storia. Quanti se ne sono resi conto? Non per effimera fama ma per il valore di una vita vissuta in tempi burrascosi e cupi.

Alice Herz Sommer è passata per l’inferno di Theresienstadt, insieme al figlioletto di sei anni, ha perduto il consorte, assassinato a Dachau dopo essere passato per Auschwitz, l’anziana e malata madre e ha contato innumerevoli famigliari ed amici diventati cenere nei campi di sterminio. Eppure continuò ad affermare: “Nella vita cerco le cose belle. So che ne esistono di cattive, ma io cerco solo le cose buone”.

Anche il suo essere sopravvissuta ed essere morta recentemente come la più anziana superstite della Shoah potrebbe suonare solo celebrativo. Quanto conta è il suo atteggiamento dinanzi alla vita in tutta la gamma di esperienze possibili.

Ora questa sua testimonianza, versata in uno short docu, The Lady in number 6 di Malcom Clarke, premiato con l’Oscar, verrà comunicata a tutti: che cosa se ne coglierà?

Lo sguardo fermo e ridente, dipinto sul volto di un’anziana signora che ha superato di ben 10 anni il secolo e le sue affermazioni sonore e limpide.

Nata nella mitica Praga nel 1903, Alice, gemella di Marianne, nasce in una famiglia ebraica di commercianti, in una casa aperta alla cultura e i cui frequentatori ed amici portano il nome di Franz Kafka, Max Brod, Gustav Mahler e Franz Werfel.

L’ambiente è poliglotta: il tedesco è la lingua della famiglia, il ceco quella dei domestici, lo yiddish quello riservato alla nonna.

A 3 anni Alice siede già alla tastiera contagiata dalla passione per la musica dalla sua sorella maggiore, a 5 prende lezioni da Conrad Ansorge, allievo di Franz Liszt, a 11 viene celebrata come un grande talento concertistico dai giornali, molto giovane si diploma in pianoforte al Conservatorio di Praga mentre con una tenacia senza pari Alice persegue il suo cammino di concertista.

Nel 1931 sposa Leopold Sommer, uomo d’affari e buon musicista dilettante e diventa madre di Stephan, che muterà il nome in Raphael e sarà violoncellista.

Tutto sembra arridere nella vita di Alice ma l’ombra cupa del nazismo incombe: molti parenti emigrano in Palestina. Per i Sommer prevale l’anziana madre di Alice da curare e rimangono a Praga, questa decisione costerà loro la deportazione nel 1942.

Il duro regime del campo non piega la robustezza e l’ottimismo della giovane donna che combatte per la salvezza sua e del suo bambino. La sua fama di musicista le consente di fare musica e aiutare tutti i prigionieri: «Attraverso la musica venivamo mantenuti in vita. Questi concerti, le persone sedute, la gente anziana desolata e malata che veniva al concerto: questa musica per loro era come il cibo, la musica era il nostro cibo». Ne tenne ben 150.

Il ritorno alla libertà se rendeva certa la vita salvata, presentava pure il vuoto e lo squallore della care assenze e delle cose perdute: «Che cosa mi ha fatto sopravvivere? Il mio carattere. Il mio ottimismo e la mia disciplina. Puntualmente, ogni giorno alle dieci, siedo al pianoforte. Tutto è in ordine intorno a me. Per trent’anni ho mangiato le stesse cose, pesce o pollo. Una buona minestra, e questo è tutto. Non bevo né tè, né caffè, né alcol. Solo acqua calda».

Alice, anziana e acciaccata, non si lasciò mai abbattere, pur soffrendo di acuti dolori si imponeva di camminare perché dopo 20 minuti… tutto va meglio, affermava.

Non è una filosofia astratta quella che comunica questa donna minuta ma una realtà vissuta: «Il mondo è splendido, è colmo di bellezza e di miracoli. Il nostro cervello, la nostra memoria, come lavorano? Per non parlare dell’arte e della musica… È un miracolo».

Sempre con la battuta arguta e il divertimento che rendeva fanciulla un’ultracentenaria ben fondata sulle sue certezze: «È un miracolo. Beethoven è la mia religione. Sono ebrea, con Beethoven come religione. Beethoven è un lottatore. Mi ha dato la fede per vivere e per continuare a ripetermi: la vita è meravigliosa e degna di essere vissuta, perfino quando è dura».