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Villa Cagnola

Una Madonna rinascimentale da (ri)scoprire

Grazie al restauro appena concluso, la nobile dimora di Gazzada (Va) presenta al pubblico uno dei capolavori della sua collezione: una splendida tavola di Giovanni Agostino da Lodi, ricca di significati simbolici.

di Luca FRIGERIO

1 Dicembre 2016

Un momento di ristoro, una scena di domestica intimità. Un angelo porge una coppa da cui Maria sta per prendere un frutto, che il Bambino Gesù pare pronto a ricevere. Gli occhi della Vergine sono abbassati, come anche quelli dell’Infante. Così che noi spettatori ci troviamo nella situazione di scrutare i volti della Madre e del Figlio con inconsueta libertà, privi di qualsiasi soggezione, in un clima dolcemente familiare. E il cuore s’allarga, mentre un sorriso ci affiora alle labbra…

Se mai ve ne fosse bisogno, oggi vi è un nuovo pretesto per salire a Gazzada di Schianno. Presso l’elegante Villa Cagnola, infatti, un apposito allestimento invita a scoprire in tutto il suo splendore il dipinto attribuito alla mano di Giovanni Agostino da Lodi: una delle gemme più preziose della straordinaria raccolta varesina, che non cessa di offrire interessanti, e pressoché inedite, sorprese.

Ora accuratamente restaurata per mano di Lucia Laita, la bella tavola rinascimentale fu acquistata sul mercato antiquario, forse già alla fine dell’Ottocento, dal conte Guido Cagnola, rilevante figura di mecenate e di studioso. Amico di Bernard Berenson, Cagnola dedicò tutta la sua vita alla riscoperta e alla valorizzazione del patrimonio artistico italiano, dimostrando anche una spiccata sensibilità alle istanze sociali del suo tempo. Lasciò i suoi beni nella disponibilità del Papa, così che la sua dimora di Gazzada, con l’eccezionale collezione di opere d’arte, appartiene dal 1954 al Vaticano, ed è sede dell’Istituto superiore di Studi religiosi e della Fondazione Ambrosiana Paolo VI.

La tavola con la Madonna col Bambino e un angelo di Giovanni Agostino da Lodi, che misura circa 65 centimetri d’altezza per 50 di base, è databile ai primissimi anni del XVI secolo, presentando notevoli affinità, sia stilistiche, sia per il supporto e per la tecnica di esecuzione, con altri lavori del pittore lombardo, come ad esempio il trittico conservato nell’oratorio di San Nicolò a Bribanèt di Sedico, nel bellunese.

Maria è qui ritratta come una vigorosa e giovane donna, di una solidità florida e vivace. Il rosso panno dietro il capo, insieme all’aureola, con efficace gioco cromatico mette in risalto l’ovale del volto, dall’incarnato sano e luminoso, che oggi più che mai si può apprezzare dopo l’intervento di pulitura della superficie pittorica. Delizioso il dettaglio dei capelli sciolti, che spuntano da sotto il velo turchese.

Il Bambinello, dalla fitta chioma ricciuta, appare come un Cupido antico, un “amorino” di opulenta bellezza. Completamente nudo, in piedi sulla balaustra, sorretto amorevolmente dalla Madre, annuncia fin nella sua fisicità il mistero del Verbo che si è fatto carne, del Cristo vero uomo e vero Dio.

Sul fondo, da entrambi i lati, si aprono due profondi scorci paesaggistici, illuminati da un nitido cielo azzurro. La strada che si snoda sulla destra, in particolare, può forse evocare il viaggio compiuto dalla Sacra Famiglia per scampare alla follia omicida di Erode. Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un’insolita interpretazione del diffuso tema del “riposo” durante la fuga in Egitto.

Sosta ristoratrice a cui paiono alludere anche i frutti offerti alla Vergine. Delle nespole, per la precisione, che nel linguaggio simbolico antico rappresentano un omaggio destinato alla donna virtuosa: quale appunto è Maria, al massimo grado.

In alto, invece, la tavola è “chiusa” da un ramo da cui fioriscono delle pere: altro frutto che, per la sua dolcezza, era immediatamente associato alle delizie del Paradiso terrestre. Così che il dipinto diventa anche l’illustrazione del riferimento paolino a Cristo come nuovo e ultimo Adamo, per mezzo del quale l’intera umanità è salvata.

Con questa opera incantevole, Giovanni Agostino, noto alla critica anche come lo Pseudo-Boccaccino, si rivela ancora una volta come uno dei protagonisti della grande stagione leonardesca nell’Italia settentrionale.

Egli stesso si firma «lodigiano», facendo supporre, quindi, una sua origine dalla città di Lodi, dove nacque probabilmente attorno al 1470. Le prime testimonianze certe, tuttavia, lo collocano in ambito veneziano: entro il 1495, infatti, esegue la pala per l’altare dei barcaioli in San Cristoforo a Murano. La Laguna, del resto, in quegli anni era assai frequentata da artisti lombardi, dai fratelli Solari a Marco d’Oggiono, con cui Giovani Agostino crea un vero sodalizio, fino allo stesso Leonardo.

Quando torna a Milano, verso il 1510, il nostro pittore porta dunque con sé le suggestioni di maestri come Giovanni Bellini, Antonello da Messina e Alvise Vivarini. A queste aggiunge quindi gli influssi di Bramantino, Boltraffio e Bernardino Luini, ben riscontrabili nelle opere eseguite per importanti cantieri, da Santa Maria della Pace alla Certosa di Pavia. Anch’egli fu forse vittima della peste che decimò la popolazione milanese nel 1524.

Ma chi, dopo Gazzada, volesse ammirare un altro grande capolavoro di Giovanni Agostino da Lodi non ha che da rimanere nel territorio di Varese, portandosi nella parrocchiale di Gerenzano, dove è conservata una sua magnifica pala d’altare, sempre con la Madonna col Bambino, ma attorniata da santi. Così emozionante che meriterà tornarci sopra, alla prima occasione.

Per informazioni sulle visite
alla Collezione d’arte di Villa Cagnola a Gazzada (Va),
visitare il sito www.villacagnola.it  
o contattare il numero 0332.461304.

 

 

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