Sirio 26-29 marzo 2024
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Ricordo

Addio a Prati, l’altro “11” di Milano

Pochi giorni dopo Corso scompare anche l’attaccante del Milan, tra gli artefici delle vittorie degli anni Sessanta e protagonista in maglia azzurra

di Mauro COLOMBO

24 Giugno 2020
Pierino Prati

Il destino ha voluto che nel giro di pochi giorni Inter e Milan abbiano dovuto dare l’addio alle rispettive ali sinistre, tra gli artefici dei trionfi euromondiali delle due squadre milanesi negli anni Sessanta. Pochi giorni dopo il nerazzurro Mario Corso, infatti, se ne è andato anche il rossonero Pierino Prati. Se Corso per l’Inter era genio e arte applicati al pallone, Prati per il Milan era fisico, velocità, potenza, acrobazia, opportunismo, senso della porta: il repertorio completo dell’uomo-gol, insomma.

Nato a Cinisello Balsamo nel 1946, cresciuto calcisticamente nelle giovanili rossonere e spedito a farsi le ossa a Salerno e Savona, torna alla casa madre nel 1967 e lì esplode. È il Milan sapientemente costruito da Nereo Rocco, basato sulla cosiddetta “linea Maginot” e legato all’estro di Gianni Rivera, che in Prati trova il terminale ideale per i suoi lanci e i suoi assist: difesa e contropiede, questa la ricetta, e negli spazi ampi Prati si esalta. Nel 1968 il Milan vince scudetto e Coppa delle Coppe. Nel 1969 è la volta della Coppa dei Campioni: nella finale di Madrid contro l’Ajax (4-1), Prati va a segno tre volte ed è l’unico italiano a esserci riuscito finora, nell’atto conclusivo del più prestigioso trofeo continentale. A seguire arriva anche la Coppa Intercontinentale, dopo un’autentica battaglia contro gli argentini dell’Estudiantes.

Prati rimane al Milan fino al 1973, vincendo un’altra Coppa delle Coppe e due Coppe Italia, ma la sua avventura rossonera si conclude infaustamente con la “fatal Verona”, che costa la stella del decimo scudetto. La sua parabola è abbastanza repentina: passa alla Roma, poi alla Fiorentina e infine al Savona, dopo un’avventura anche nel soccer americano.

Se fosse vissuto in un’altra epoca, Prati sarebbe stato titolare fisso in Nazionale per parecchi anni. Invece ha la sfortuna di incrociare l’era di Gigi Riva, che lo relega al ruolo di riserva. Riesce però a ritagliarsi spazi importanti nelle parentesi aperte dai gravi infortuni di “Rombo di tuono”: è tra i protagonisti della vittoria al Campionato europeo del 1968 e partecipa all’avventura mondiale di Messico 1970.

Terminata la carriera, prova a trasmettere le sue qualità ai giocatori che allena in diverse squadre nelle serie minori. Infine, prima della malattia che gli è stata fatale, si è cimentato anche come opinionista, con giudizi e commenti diretti, essenziali, senza fronzoli. Proprio come era in campo.