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Alitalia, sfida quasi impossibile

Tra cordate e intervento dello Stato, perché è così difficile rilanciare la compagnia di bandiera

5 Giugno 2008

01/04/2008

di Nico CURCI

In tutto il gran parlare intorno alla vicenda-Alitalia nel pieno della campagna elettorale, troppo spesso si dimentica di dire agli elettori una verità, forse perché considerata troppo amara e indigesta: comunque finirà la battaglia per il suo controllo, le probabilità che la nostra compagnia di bandiera mantenga il suo rango tra i principali competitors internazionali sono ridottissime. Vediamo di capire il perché.

Le principali compagnie di bandiera europee – come Lufthansa, Air France-Klm o British Airways – hanno saputo contrastare con efficacia la grande crisi del mercato aereo dei primi anni di questo decennio. Crisi dovuta, da una parte, alla caduta della domanda mondiale di voli dovuta alla psicosi successiva all’11 settembre 2001, e, dall’altra, alla massiccia concorrenza causata dall’aggressiva politica di prezzo perseguita dai vettori low-cost. Le principali compagnie europee hanno reagito cercando di riposizionare la loro offerta di voli nell’ampio e ricco mercato della clientela business e operando con il bisturi sul lato dei costi, spese per il personale in testa.

Cosa ha fatto invece Alitalia? Ha continuato a operare con un modello di business troppo datato, contando sempre sul micidiale cocktail inventato dalla premiata ditta “Governo-sindacati” e basato su due ingredienti: la protezione non solo dei posti di lavoro (che pure sarebbe auspicabile), ma anche di tutti i privilegi di cui godono i lavoratori Alitalia rispetto ai loro colleghi di altre compagnie; la garanzia che a pagare le perdite sarebbe comunque stato l’azionista-Tesoro e quindi i contribuenti italiani. Un cocktail costato un milione di euro ogni 24 ore nell’ultimo anno e mezzo.

La concorrenza in futuro sarà, se possibile, ancora più dura. Da domenica scorsa èinfatti operativo l’accordo Open Skies che liberalizza completamente il trasporto di merci e persone tra Europa e Usa. Questo significa che ora tutte le compagnie potranno partire da qualsiasi aeroporto delle due sponde dell’Oceano, non saranno possibili contratti di esclusiva e non ci sarà alcun obbligo per le compagnie di bandiera di far perno sul solo Paese d’origine. Così anche il mercato dei voli di lungo raggio entrerà nel mirino dei vettori low cost e le grandi compagnie di bandiera dovranno continuare a modificare la loro offerta per mantenere quote di mercato.

Per Alitalia questa sfida è quasi impossibile. Infatti la flotta di cui dispone è inadeguata e obsoleta. Ci sarebbe bisogno di una massiccia dose di capitali per rinnovarla completamente e comunque ciò richiederebbe tempi tecnici troppo lunghi. Ma sarebbe comunque difficile trovare investitori disposti a mettere denaro fresco e abbondante in una impresa che ha così piccole possibilità di successo. Le fantomatiche cordate di cui si parla in questi giorni potrebbero formarsi solo se sollecitate dalla politica: ma ovviamente richiederebbero in cambio adeguate garanzie alla politica, perché per il rischio-Alitalia non c’è mercato che tenga e solo lo Stato può accollarsene l’onere.

Ma allora perché Air France-Klm vuole comprare Alitalia? Semplicemente perché ha bisogno di una compagnia regionale con cui coprire il Sud Europa. Questo è il destino di Alitalia: essere una compagnia regionale, che magari aiuta il turismo del Paese, e sfrutta un marchio, quello del tricolore, che nel mondo è ancora sinonimo di bella vita.

Scordiamoci però di avere una compagnia di bandiera davvero globale. L’unica consolazione è che forse, in futuro, nei tre minuti che si impiegano nel leggere un articolo come questo, i contribuenti italiani non avranno buttato al vento gli oltre duemila euro che servono oggi per tenere in piedi il carrozzone Alitalia.