Share

Come arrivare a fine mese?

L'ultimo rapporto Istat conferma l'esigenza delle politiche a sostegno della famiglia, di cui vanno riscoperte le potenzialità come soggetto sociale in grado di essere vero motore dello sviluppo

5 Giugno 2008

25/01/2008

di Andrea CASAVECCHIA

Dall’ultimo rapporto Istat sui redditi si scopre che il 14,6% delle famiglie italiane arriva con molta difficoltà alla fine del mese. Il disagio economico si allarga se si pensa che un altro 28,4% degli intervistati non sarebbe in grado di sostenere una spesa improvvisa di 600 euro.

I dati invitano a una riflessione sulle politiche a sostegno delle famiglie, che non possono essere considerate solamente iniziative per emergenze temporanee, oppure soluzioni per risolvere problemi momentanei. Anzi, sostenere le famiglie dovrebbe essere considerata una spesa strutturale per il sistema italiano.

Purtroppo l’analisi dell’Istat conferma il divario tra famiglie ricche e povere, sottolineando che tra queste ultime si trovano quelle con più figli, quelle monoparentali, quelle più anziane. L’Italia rimane, così, uno dei Paesi in Europa tra i più diseguali nella distribuzione dei redditi familiari. L’indice di Gini, ossia la distanza dei casi osservati dalla media, rimane infatti dello 0,32.

Da circa quindici anni il numero delle famiglie povere rimane più o meno lo stesso. A questo si aggiungano i problemi relativi all’indebitamento: come rilevavano dei dati dell’Abi Assofin, «il credito al consumo – acquisti a rate e prestiti personali – è cresciuto del 17,5%. In soli sei mesi gli italiani hanno chiesto in prestito 93,8 miliardi (senza considerare quelli chiesti per i mutui, altri 289,8 miliardi)».

Da una parte la recente istituzione, promossa dal Governo, di un’ Authority sui prezzi può essere un’iniziativa interessante per cercare di evitare le speculazioni. Dall’altra c’è anche un’azione di sensibilizzazione da promuovere per rispondere alle tentazioni di un consumo compulsivo che sembra aver imprigionato gli italiani che, molto più di ieri, si affidano alle trappole psicologiche dei pagamenti rateali.

Una politica indirizzata a colmare i deficit, che parta da quelli economici per arrivare più in profondità, considera centrale la promozione della famiglia. Innanzitutto, come ha scritto Michele Simone su Civiltà Cattolica, «un punto che colpisce è l’insufficienza di fatto del riconoscimento del ruolo della famiglia. Ci sembra emergere soprattutto un deficit culturale, quando nei confronti della famiglia l’unico criterio di valutazione in genere rimane il reddito annuo».

Una politica costruttiva e non contingente dovrebbe essere indirizzata a valorizzare la relazionalità tanto rispetto alle reti familiari e associative, quanto rispetto alle istituzioni come la scuola, le Asl, le parrocchie o i municipi. Si tratta allora di riscoprire le potenzialità della famiglia intesa come soggetto sociale, come una comunità che sperimenta una vita in comune, ordinario esempio di convivenza tra le differenze di genere e tra le generazioni.

Una politica sociale rivolta al futuro considera la famiglia punto di partenza e metro di giudizio per promuovere l’inclusione sociale, gettando le basi di una futura cittadinanza che cresce accettando la pluralità. La solidarietà familiare può diventare, allora, motore dello sviluppo umano e sociale del Paese.