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Kerry Kennedy: anche qui discriminazioni

La figlia del senatore americano assassinato 40 anni fa è stata nei giorni scorsi a Milano per promuovere un nuovo manuale educativo sulla difesa dei diritti umani: «Milano e l'Italia alle prese con problemi di razzismo e sessismo»

1 Dicembre 2008

03/12/2008

di Pino NARDI e Silvio MENGOTTO

Kerry Kennedy è stata nei giorni scorsi a Milano per presentare, insieme al vicepresidente della Provincia Alberto Mattioli, il nuovo manuale educativo sulla difesa dei diritti umani della Fondazione Robert Kennedy Speak truth to power – Coraggio senza confini, da quest’anno adottato come testo negli istituti superiori della Provincia e in altre Regioni italiane. È stata l’occasione per conoscere da vicino la figlia di Bob, assassinato 40 anni fa, che ama molto Milano e l’Italia.

Nel 2015 Milano accoglierà l’Expo. Che ne pensa?
È un’opportunità meravigliosa. Penso che Milano abbia molto da offrire con la cultura, l’industria, il design. Questa è un’occasione imperdibile per i milanesi per presentarsi al resto del mondo.

Lei ha presentato un manuale sui diritti umani: a Milano ci sono rischi di discriminazioni e razzismo?
Non è un rischio, è una realtà. In questa città ci sono ancora razzismo e sessismo, come in ogni altra città del mondo. L’Italia sta affrontando un grande problema di immigrazione. E sfortunatamente penso che per motivi politici la gente abbia associato all’aumento dell’immigrazione anche quello della criminalità. Questo ha portato a un’impennata nei fenomeni di razzismo e di xenofobia, due temi altamente pericolosi. Eppure l’Italia vive di immigrazione, se si pensa che la maggior parte delle badanti degli anziani italiani risulta essere di immigrate senza permesso. Quindi c’è molto da risolvere. Un altro tema importante sono i diritti delle donne e salari equi: con lo stesso livello culturale e con lavori equiparati non prendono il medesimo stipendio degli uomini. In particolare le donne che hanno una laurea, guadagnano il 30% in meno. Questo è inaccettabile.

Nel 1968, pochi mesi prima del suo assassinio, Robert Kennedy disse: «Tra 40 anni avremo un presidente afroamericano». Con l’elezione di Obama suo padre si è rivelato un profeta?
Ritengo che mio padre pensava che gli americani avrebbero superato ogni diversità di razza e considerato le persone non per il colore della pelle, ma per le idee, per ciò che avevano maturato nella coscienza. In gran parte questo è stato raggiunto grazie al sacrificio di molti, fra cui Martin Luther King. Ora abbiamo un presidente di colore, il che non è buono solo per l’America, ma per tutto il mondo.

Siamo di fronte a un’elezione storica: è forse l’inizio di una nuova era?
Assolutamente sì, è l’inizio di una nuova era. Mio padre credeva nei sogni e ora, come non mai, gli americani e la gente nel mondo credono e sognano cose che non sono mai accadute prima. Possono farlo per la prima volta dopo tanto tempo.

Nel suo libro-intervista Essere cattolici ora cosa emerge e quali le motivazioni di questa inchiesta?
Sono cresciuta da cattolica in una famiglia molto cattolica, che si sentiva molto americana ed era impegnata nella giustizia sociale del Paese. In quanto attivista per i diritti umani, sono sempre stata ispirata da personalità cattoliche di tutto il mondo, che per la loro fede si sono sacrificate in nome della solidarietà umana. Ma poi, per fare un esempio, vedo che nella mia parrocchia il prete non permette a mia figlia di fare il chierichetto. Perché? Perché è una ragazza. Questo per me non ha senso. Mi sentivo in conflitto con alcuni atteggiamenti cattolici e volevo risolverlo. Così ho parlato con molte persone, ascoltando ogni opinione di destra, di sinistra, di gente che ha lasciato la Chiesa, cardinali, preti e suore. Ho cercato di capire per ognuno di loro cosa significasse la fede.