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La fede in pista

Intervista a don Mario Lusek, cappellano olimpico degli azzurri in gara a Pechino

30 Luglio 2008

01/08/2008

a cura di Luigi CRIMELLA

Alle Olimpiadi di Pechino don Mario Lusek, direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale dello sport, turismo e tempo libero, sarà membro della delegazione italiana nella sua qualità di cappellano. Per i quasi 350 atleti del nostro Paese che stanno per cimentarsi nei Giochi ci sarà quindi una presenza spirituale che, sulla base delle precedenti esperienze olimpiche (quando cappellano era monsignor Carlo Mazza, oggi vescovo di Fidenza), appare circondata di sensibilità e simpatia.

Gli altri Paesi che sicuramente hanno un cappellano al seguito degli sportivi sono l’Austria, la Germania e la Polonia. Mentre si hanno notizie di alcuni permessi concessi dalle autorità cinesi per celebrare messe in varie lingue, tra cui in italiano, in chiese della capitale, il cappellano della squadra olimpica potrà celebrare in occasione delle festività negli spazi di culto appositamente predisposti per gli atleti e il loro seguito. A don Mario Lusek abbiamo rivolto alcune domande.

Come valuta l’esperienza che sta per iniziare?
Ho avuto la fortuna e la gioia di essere presente nei giardini del Quirinale all’incontro tra il Capo dello Stato e gli atleti azzurri che parteciperanno alle prossime Olimpiadi di Pechino. È stato il primo gesto di accompagnamento quale neo cappellano della squadra italiana. Il Coni, infatti, nella persona del suo presidente Gianni Petrucci, ha voluto confermare la presenza del sacerdote accompagnatore. Mi hanno molto colpito le parole dal presidente Napolitano: «Il Comitato olimpico internazionale ci ricorda che i Giochi olimpici hanno sempre unito i popoli nella pace e nel rispetto di principi morali universali. È in questo spirito che vanno intesi anche i Giochi olimpici e paralimpici che si svolgeranno in Cina il prossimo agosto».

Il mondo oggi guarda con particolare interesse alla Cina, non solo per le Olimpiadi. Che ne pensa di questa scelta?
La decisione del Comitato internazionale di far ospitare alla Cina i prossimi Giochi non è stata certo facile; ma assume senza dubbio un grande valore storico, per la piena integrazione di questa grande Nazione nella comunità mondiale. La presenza di migliaia di atleti e di sportivi, in rappresentanza dei popoli di tutto il mondo, con la loro testimonianza di libertà e di partecipazione attiva, costituisce il miglior contributo che la comunità sportiva può oggi dare alla causa dei diritti umani.

A Pechino lei rappresenterà la Chiesa. Come pensa di essere accolto?
Mi è stato chiesto da molti cosa rappresenti questa presenza e se per caso non sia una “invasione di campo”. Noi amiamo spesso dire che «lo sport è di casa nella Chiesa» con l’evidente intenzione di dare valore alla pratica sportiva e farla diventare “palestra di vita”. Andare alle Olimpiadi vorrà essere il segno che anche la «Chiesa è di casa nello sport» e tra gli sportivi perché ha a cuore l’uomo, ogni uomo, anche l’homo ludens, l’uomo che gioca, si diverte e fa sport.

Come è andata al suo predecessore nelle precedenti Olimpiadi?
L’incontro e la vicinanza con gli uomini e le donne d’Italia che gareggeranno a Pechino sarà occasione per cogliere anche delle lezioni di vita, che è il sottotitolo di Storia a cinque cerchi, il sussidio olimpico preparato dall’Ufficio Nazionale Cei e distribuito a tutti gli atleti italiani. Monsignor Mazza, che ha svolto questo ufficio nelle ultime Olimpiadi, racconta di quale e quanto apprezzamento è accompagnata la presenza del prete molto al di là di quelle visioni prettamente scaramantiche che diventano luoghi comuni.

Con che modalità si avvicinerà agli atleti?
La mia cercherà di essere una presenza discreta, rispettosa, aperta, dialogante e nello stesso tempo “prossima”. Sicuramente tra gli atleti ci sarà una pluralità di sensibilità e di storie di vita e di fede le più diverse. Sarò chiamato a farmi “vicino” cercando prima di tutto di non sentirli “lontani”. Lo sport, infatti, e l’avvenimento olimpico in particolare, portano in sé un alto messaggio di valore e di valori, che diranno molto a tutti. Il prete dirà anche di Gesù Cristo che, quando faceva una proposta, l’anticipava con un «se vuoi».

Cosa si aspetta da queste Olimpiadi?
Pechino per un mese sarà il palcoscenico del mondo, dove si potrà rappresentare sia il sogno di una umanità che cerca concordia, sia la paura e l’antagonismo verso ogni “altro” diverso da noi per cultura, fede e razza. Io non penso che sia compito esclusivo dello sport o di un avvenimento quello di affrontare la sfida di un mondo nuovo. Questa sfida è quotidiana e perenne e porta nel cuore la visione ultima dei cieli nuovi e della terra nuova.