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Tettamanzi buonista? No, voce del Vangelo

Nessuna lontananza o mancanza di sintonia tra l'Arcivescovo e i suoi preti, ma una comunione che si concretizza dentro le parrocchie della diocesi e nei piccoli e grandi gesti di bene che silenziosamente si compiono ogni giorno

5 Giugno 2008

27/05/2008

di Giuseppe GRAMPA

Lo scorso 17 maggio, rivolgendosi ai giovani che parteciperanno alla prossima Giornata mondiale della gioventù a Sidney, il cardinale Tettamanzi li ha invitati a costruire rapporti fondati sulla fiducia reciproca. Un appello rivolto non solo ai giovani, ma a una società in cui, dice ancora il Cardinale, «si sente ripetere come un ritornello che abbiamo bisogno di più sicurezza, e si continuano a costruire muri di divisione».

Un appello che – ancora una volta – ha destato una singolare reazione: quella del Cardinale sarebbe una posizione “buonista” e isolata nella Chiesa di Milano. Taluni preti che sul territorio devono fare i conti con la convivenza con i campi rom sarebbero meno inclini alla reciproca fiducia, addirittura “contro” il proprio vescovo. Insomma, un vertice ecclesiale rappresentato come distante dalla durezza delle condizioni di vita quotidiana sul territorio.

Nei video “linkati” qui a fianco trovate le voci di sacerdoti che i campi rom li hanno “in casa”, e quotidianamente lavorano per comporre legalità e accoglienza. Le loro testimonianze e prima ancora il loro lavoro attestano non solo la possibilità di tale composizione, ma anche la piena e cordiale sintonia con il magistero di Tettamanzi. È caricaturale il ritratto di un Arcivescovo “buonista” semplicemente perché residente lontano dai luoghi dove vivono, pregano, operano tanti suoi preti e la loro gente.

Chi tenta tale distorsioni, sa quante ore Tettamanzi passa ad ascoltare i suoi preti? Sa quanti giorni la settimana passa l’Arcivescovo nelle parrocchie e nei decanati? Sa che al termine di ogni celebrazione il Cardinale si ferma ad ascoltare per ore centinaia di persone, pazientemente, una a una?

Se c’è un tratto che caratterizza l’Arcivescovo di Milano e i suoi preti è proprio la forte prossimità alla gente, ai più piccoli e ai più poveri. Sostenere che i preti ambrosiani (da alcuni evocati, ma chi sono?) siano “contro” il loro Arcivescovo a proposito di come operare con gli immigrati èuna lettura infondata.

Il vescovo, nella Chiesa, non è un semplice “capo”: guida la diocesi con il suo magistero, certo, ma non è una conduzione solitaria. Non esiste un vescovo senza i suoi preti: è la comunione tra preti e vescovo che rende la pienezza del volto di una Chiesa. Una comunione che si concretizza dentro le parrocchie della nostra diocesi e nei piccoli e grandi gesti di bene che silenziosamente ogni giorno si compiono.

L’Arcivescovo di Milano, quando invita i cristiani, la città e la diocesi, a non chiudersi – per paura e per pregiudizio – alla relazione con l’altro, specie con chi è straniero, non lancia un messaggio nel vuoto. Quando invita a essere accoglienti, o meglio, a vivere la carità, sta prestando voce al Vangelo da sempre “carta di navigazione” del clero e delle parrocchie ambrosiane.

Da sempre e per sempre laddove ci sono degli ultimi, la Chiesa in obbedienza al comando di Gesù è con loro, senza dimenticare gli altri. Prendersi cura dei poveri non significa chiudere gli occhi davanti alle violazioni della legge che alcuni – non solo tra i poveri – compiono. È da tempi non sospetti, da anni, che a proposito dei migranti la Chiesa di Milano parla di «accoglienza nella legalità». Ma a questo proposito pare si sia diffusa una singolare amnesia.