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Europa

Crocefisso, come se ne parlerà?

Rinviata in gennaio la discussione al Parlemento di Strasburgo

di Gianni BORSA Redazione

21 Dicembre 2009

È stato un tira e molla e, infine, se ne riparlerà a gennaio. Durante la sessione plenaria dell’Europarlamento, tenutasi a Strasburgo dal 14 al 17 dicembre, si è svolto un dibattito relativo alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, a novembre, aveva condannato l’Italia per l’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche. Oltre alla discussione in emiciclo (collocata “in notturna” e sviluppatasi in un’aula purtroppo deserta), erano state presentate sei proposte di risoluzione, da altrettanti partiti, sul “principio di sussidiarietà”, riguardanti il pronunciamento della Corte.
Come ha puntualizzato una nota del Parlamento, «in virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione europea interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri […] ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione». Era più o meno questa la posizione sostenuta in emiciclo dal commissario alla libertà e giustizia, Jacques Barrot, che aveva inoltre segnalato come la Corte dipenda dal Consiglio d’Europa, non dall’Unione europea, due organizzazioni internazionali ben distinte tra loro. Posizione, questa, un po’ fragile però, visto che, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Ue si è impegnata a ratificare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la quale costituisce la base giuridica dei pronunciamenti della Corte.
Al momento di votare le risoluzioni, su proposta del gruppo dei socialisti e democratici il voto è stato rinviato: il dubbio espresso dal capogruppo Martin Schulz riguardava l’“ammissibilità” dell’argomento, «trattandosi di una questione che tocca solo l’Italia», non l’Europa comunitaria nel suo insieme. Per il Partito popolare (Ppe), invece, il voto si sarebbe dovuto comunque tenere: Manfred Weber aveva infatti sostenuto che «i deputati sono politici e non giuristi» e, dunque, «essi sono chiamati a esprimersi su una questione che tocca milioni di cittadini». A conti fatti, la posizione del Ppe è risultata in minoranza. D’altro canto era parso subito evidente che, non essendo maturata una risoluzione comune che mettesse d’accordo almeno alcuni dei gruppi presenti a Strasburgo, nessun testo avrebbe ottenuto la maggioranza dei voti, lanciando – con sei risoluzioni bocciate – un segnale ancora più netto all’opinione pubblica.
Ora ci si può augurare che la situazione sia affrontata con maggior capacità riflessiva dagli eurodeputati. Va pure sottolineato che un pronunciamento dell’assemblea Ue a favore della sussidiarietà avrebbe il valore di un segnale politico, ma non la forza di mutare la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo.
Dall’intricata questione, emergono, per il momento, un punto fermo e un grande punto interrogativo. Il primo concerne il fatto che dall’Eurocamera si è avuto un messaggio politico… mancato: ovvero un silenzio da parte dell’Assemblea. E i silenzi, per dirla con un gioco di parole, non parlano chiaro. L’interrogativo s’impone, invece, rispetto ai prossimi passi: se a gennaio dovesse essere approvata una risoluzione dal Parlamento Ue, quale ne sarà il contenuto? È stato un tira e molla e, infine, se ne riparlerà a gennaio. Durante la sessione plenaria dell’Europarlamento, tenutasi a Strasburgo dal 14 al 17 dicembre, si è svolto un dibattito relativo alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, a novembre, aveva condannato l’Italia per l’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche. Oltre alla discussione in emiciclo (collocata “in notturna” e sviluppatasi in un’aula purtroppo deserta), erano state presentate sei proposte di risoluzione, da altrettanti partiti, sul “principio di sussidiarietà”, riguardanti il pronunciamento della Corte.Come ha puntualizzato una nota del Parlamento, «in virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione europea interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri […] ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione». Era più o meno questa la posizione sostenuta in emiciclo dal commissario alla libertà e giustizia, Jacques Barrot, che aveva inoltre segnalato come la Corte dipenda dal Consiglio d’Europa, non dall’Unione europea, due organizzazioni internazionali ben distinte tra loro. Posizione, questa, un po’ fragile però, visto che, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Ue si è impegnata a ratificare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la quale costituisce la base giuridica dei pronunciamenti della Corte.Al momento di votare le risoluzioni, su proposta del gruppo dei socialisti e democratici il voto è stato rinviato: il dubbio espresso dal capogruppo Martin Schulz riguardava l’“ammissibilità” dell’argomento, «trattandosi di una questione che tocca solo l’Italia», non l’Europa comunitaria nel suo insieme. Per il Partito popolare (Ppe), invece, il voto si sarebbe dovuto comunque tenere: Manfred Weber aveva infatti sostenuto che «i deputati sono politici e non giuristi» e, dunque, «essi sono chiamati a esprimersi su una questione che tocca milioni di cittadini». A conti fatti, la posizione del Ppe è risultata in minoranza. D’altro canto era parso subito evidente che, non essendo maturata una risoluzione comune che mettesse d’accordo almeno alcuni dei gruppi presenti a Strasburgo, nessun testo avrebbe ottenuto la maggioranza dei voti, lanciando – con sei risoluzioni bocciate – un segnale ancora più netto all’opinione pubblica.Ora ci si può augurare che la situazione sia affrontata con maggior capacità riflessiva dagli eurodeputati. Va pure sottolineato che un pronunciamento dell’assemblea Ue a favore della sussidiarietà avrebbe il valore di un segnale politico, ma non la forza di mutare la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo.Dall’intricata questione, emergono, per il momento, un punto fermo e un grande punto interrogativo. Il primo concerne il fatto che dall’Eurocamera si è avuto un messaggio politico… mancato: ovvero un silenzio da parte dell’Assemblea. E i silenzi, per dirla con un gioco di parole, non parlano chiaro. L’interrogativo s’impone, invece, rispetto ai prossimi passi: se a gennaio dovesse essere approvata una risoluzione dal Parlamento Ue, quale ne sarà il contenuto?