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Gli insegnanti di religione dicono la loro

Mentre continuano le polemiche sull'utilizzo delle risorse economiche, i docenti si raccontano, difendono la materia e il bene dei ragazzi -

Luisa BOVE Redazione

11 Marzo 2009

Spesso intorno all’ora di religione si solleva un polverone, tutti dicono la loro, come sul caso delle 46 insegnanti destinate alle scuole dell’infanzia. Dopo la richiesta da parte delle famiglie, il Comune di Milano e la diocesi hanno accolto la domanda perché le 175 materne avessero il loro insegnante.
In tempo di crisi la polemica è “montata” puntando il dito sulla scelta di investire sull’insegnamento della religione, piuttosto che acquistare materiale scolastico e altro. I due piani non possono essere confusi: il valore della cultura da una parte e la normale gestione di una scuola. In difesa dei colleghi delle materne e dell’ora di religione, qualche insegnante delle Primarie ha fatto sentire la sua voce. «Ho scelto una professione che al di là di tutte le difficoltà si è dimostrata formativa per i ragazzi», dice Simonetta Palazzi, «ponte e dialogo tra la nostra e le altre culture, materia di conoscenza, di discussione e di espressione».
Palazzi non ha avuto vita facile: «Ho insegnato per i primi 26 anni come supplente annuale, con periodi non pagati e ritardi, malattia di 30 giorni al massimo e poi il licenziamento, maternità retribuita parzialmente…». Paragona i suoi 33 anni di servizio a quelli di altri colleghi che insegnano una disciplina diversa dalla sua. Per lei ci sono stati «molti oneri e pochissimi onori grazie a un preconcetto diffuso sulla materia spesso ritenuta “leggera” o inutile o fuori contesto». Spesso intorno all’ora di religione si solleva un polverone, tutti dicono la loro, come sul caso delle 46 insegnanti destinate alle scuole dell’infanzia. Dopo la richiesta da parte delle famiglie, il Comune di Milano e la diocesi hanno accolto la domanda perché le 175 materne avessero il loro insegnante.In tempo di crisi la polemica è “montata” puntando il dito sulla scelta di investire sull’insegnamento della religione, piuttosto che acquistare materiale scolastico e altro. I due piani non possono essere confusi: il valore della cultura da una parte e la normale gestione di una scuola. In difesa dei colleghi delle materne e dell’ora di religione, qualche insegnante delle Primarie ha fatto sentire la sua voce. «Ho scelto una professione che al di là di tutte le difficoltà si è dimostrata formativa per i ragazzi», dice Simonetta Palazzi, «ponte e dialogo tra la nostra e le altre culture, materia di conoscenza, di discussione e di espressione».Palazzi non ha avuto vita facile: «Ho insegnato per i primi 26 anni come supplente annuale, con periodi non pagati e ritardi, malattia di 30 giorni al massimo e poi il licenziamento, maternità retribuita parzialmente…». Paragona i suoi 33 anni di servizio a quelli di altri colleghi che insegnano una disciplina diversa dalla sua. Per lei ci sono stati «molti oneri e pochissimi onori grazie a un preconcetto diffuso sulla materia spesso ritenuta “leggera” o inutile o fuori contesto». Un dialogo tra culture Gli insegnanti di ruolo che attulamente insegnano nelle scuole statali, dice Giacomina Mascherpa, «hanno sostenuto un concorso ordinario, per contenuti e titoli di ammissione, esattamente come sono tenuti a fare i docenti di qualsiasi altra disciplina». E aggunge: «A scuola non si fa catechismo, per quello ci sono altri luoghi e altre persone incaricate. Il percorso di approfondimento progettato per i ragazzi ha un’dentità culturale che permette il confronto e il dialogo con una realtà multietnica, multireligiosa e multiculturale dove vivono quotidianamente». Insomma «la religione cattolica, insieme ad altre discipline, si preoccupa di offrire strumenti culturali, conoscenze e competenze per trovare risposte agli interrogativi sull’esistenza e sul senso della vita».Pasquale Esposito fa sapere che «la categoria degli insegnanti è stanca di tante falsità». Gli idr lavorano «in silenzio senza gridarlo ai quattro venti», molti hanno anche «posti di responsabilità sia nelle loro scuole che negli uffici scolastici». E conclude: «L’insegnante di religione non è una minaccia per nessuno, ma una risorsa per molti. La scuola ha bisogno che tutte le discipline e tutte le persone coinvolte concorrano alla crescita umana del ragazzo». – Il problemaLa testimonianza –