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Esteri

Iran, la diplomazia aggrappata a un filo

Dopo l'attentato del 18 ottobre e le voci sulla salute di Alì Khamenei

di Romanello CANTINI Redazione

21 Ottobre 2009

Lo scenario politico iraniano si è rapidamente intorbidito in poco più di una settimana, anche se non è facile indovinare chi e che cosa si stia muovendo nel fondo. Il 13 ottobre il giornalista americano Michael Ledeen ha pubblicato la notizia – secondo lui raccolta da buona fonte – che Alì Khamenei, la Guida suprema dell’Iran, sarebbe in coma. La notizia è stata smentita da più parti; tuttavia, il settantenne capo assoluto della Repubblica islamica non si fa vedere in pubblico dal 7 ottobre. Una invalidità o addirittura una morte di Khamenei riaprirebbe di nuovo quella partita del potere in Iran che ormai sembrava chiusa dopo il voto contestato della primavera scorsa.
A condurre il gioco della successione sarebbe Hashemi Rafsanjani, che controlla la maggioranza del Consiglio degli Esperti chiamato a eleggere la nuova Guida suprema e che in passato si è schierato con molta discrezione a fianco dei “progressisti” sconfitti alle elezioni. Solo una messa sotto accusa di Rafsanjani per quella corruzione con cui si spiega comunemente la sua ricchezza potrebbe sbarrare la strada, in caso di una nuova elezione della Guida a un candidato ostile ad Ahmadinejad. Nell’ipotesi che questa lotta di potere sia già in corso si spiegherebbero le condanne a morte servite a freddo, dopo mesi dai fatti, ad alcuni partecipanti alle manifestazioni contro i presunti brogli elettorali delle elezioni del giugno scorso. Si tratterebbe evidentemente di un messaggio trasversale destinato a chi intendesse riaprire il capitolo della delegittimazione di Ahmadinejad e del suo sistema di potere nel caso venisse a mancare il suo protettore Khamenei. Lo scenario politico iraniano si è rapidamente intorbidito in poco più di una settimana, anche se non è facile indovinare chi e che cosa si stia muovendo nel fondo. Il 13 ottobre il giornalista americano Michael Ledeen ha pubblicato la notizia – secondo lui raccolta da buona fonte – che Alì Khamenei, la Guida suprema dell’Iran, sarebbe in coma. La notizia è stata smentita da più parti; tuttavia, il settantenne capo assoluto della Repubblica islamica non si fa vedere in pubblico dal 7 ottobre. Una invalidità o addirittura una morte di Khamenei riaprirebbe di nuovo quella partita del potere in Iran che ormai sembrava chiusa dopo il voto contestato della primavera scorsa.A condurre il gioco della successione sarebbe Hashemi Rafsanjani, che controlla la maggioranza del Consiglio degli Esperti chiamato a eleggere la nuova Guida suprema e che in passato si è schierato con molta discrezione a fianco dei “progressisti” sconfitti alle elezioni. Solo una messa sotto accusa di Rafsanjani per quella corruzione con cui si spiega comunemente la sua ricchezza potrebbe sbarrare la strada, in caso di una nuova elezione della Guida a un candidato ostile ad Ahmadinejad. Nell’ipotesi che questa lotta di potere sia già in corso si spiegherebbero le condanne a morte servite a freddo, dopo mesi dai fatti, ad alcuni partecipanti alle manifestazioni contro i presunti brogli elettorali delle elezioni del giugno scorso. Si tratterebbe evidentemente di un messaggio trasversale destinato a chi intendesse riaprire il capitolo della delegittimazione di Ahmadinejad e del suo sistema di potere nel caso venisse a mancare il suo protettore Khamenei. Equilibrio instabile Tuttavia, anche nel caso che Khamenei si rifaccia vivo, in buona salute, l’attentato del 18 ottobre nella provincia meridionale del Sistan-Baluchistan (al confine con Pakistan e Afghanistan), che ha provocato una cinquantina di vittime fra gli iraniani, scuote già di per sé un equilibrio del Paese tutto sommato meno stabile di quello che sembri. La rivendicazione dell’attentato da parte del gruppo sunnita Jundallah (soldati di Dio) appare affidabile, perché il gruppo ha già firmato altri attentati simili e di grandi dimensioni anche in passato. Il gruppo fondato e guidato da capi di origine talebana rivendica i diritti dei pochi sunniti in un Iran tutt’altro che generoso nei confronti di qualsiasi minoranza. Le accuse provenienti dall’Iran, che al solito rendono responsabili gli Stati Uniti di ogni catastrofe, fanno parte della tradizionale liturgia secondo cui chi è al potere a Teheran cerca di rafforzarsi inventandosi che si è in guerra contro il “Grande Satana”.Molto preoccupante potrebbe dimostrarsi il diffondesi di un terrorismo che ormai tende a estendere la guerra civile fra sunniti e sciiti in tutta una regione fortemente destabilizzata, dal Pakistan all’Afghanistan, dall’Iraq allìIran, roccaforte e riferimeno della religione sciita in tutta l’area. Già l’attentato del 18 ottobre rischia di avere effetti politici al di là della regione. In questo gioco anche un Iran che possa finire in rotta di collisione militare con Israele e con gli Usa può essere un obiettivo per chi lo considera il suo nemico religioso. E in un momento in cui la diplomazia si aggrappa a un filo tanto sottile, ogni provocazione può provocare un disastro sotto diversi punti di vista. La coincidenza fra l’attentato nel Baluchistan e i colloqui di Vienna sul programma nucleare di Teheran (l’incontro si è tenuto il 19 ottobre) è probabilmente frutto di un caso… che ha dimostrato di vederci bene almeno nel calendario.