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Esteri

Svizzera, ha vinto il pregiudizio

Il commento dei vescovi al "no" ai minareti: «Un duro colpo alla libertà religiosa e all'integrazione»

1 Dicembre 2009

Le Chiese d’Europa (non solo cattolica) compatte nel dire che la via per l’integrazione e la convivenza pacifica tra le religioni non passa attraverso leggi che impediscono la libertà di culto. Lo si evince dai commenti al risultato del referendum che domenica 29 novembre in Svizzera ha decretato con una netta maggioranza il divieto di edificazione di nuovi minareti. Dal Vaticano all’Italia, alla Svizzera, secondo i vescovi il risultato della consultazione referendaria rappresenta «un duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione». Le Chiese d’Europa (non solo cattolica) compatte nel dire che la via per l’integrazione e la convivenza pacifica tra le religioni non passa attraverso leggi che impediscono la libertà di culto. Lo si evince dai commenti al risultato del referendum che domenica 29 novembre in Svizzera ha decretato con una netta maggioranza il divieto di edificazione di nuovi minareti. Dal Vaticano all’Italia, alla Svizzera, secondo i vescovi il risultato della consultazione referendaria rappresenta «un duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione». Il referendum L’iniziativa per il bando dei simboli religiosi musulmani è stata accettata al referendum con il 57% dei voti. In base ai risultati ufficiali, solo quattro Cantoni (Basilea città, Ginevra, Neuchâtel e Vaud) dei 26 che formano la Confederazione hanno respinto la proposta avanzata dal partito della destra populista dell’Udc e della destra cristiana dell’Udf. Data la maggioranza degli elettori e dei Cantoni, il voto comporterà la modifica dell’articolo 72 della Costituzione, che regola i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose: il divieto della costruzione dei minareti verrà inserito come una misura «atta a mantenere la pace fra i membri delle diverse comunità religiose». I musulmani sono il 5% della popolazione elvetica e dispongono di circa 200 luoghi di preghiera in Svizzera, ma solo quattro minareti, che non sono usati per il richiamo alla preghiera. I vescovi svizzeri Il commento “ufficiale” è affidato a Walter Müller, incaricato per la comunicazione della Conferenza episcopale svizzera. Per i vescovi, il risultato referendario «rappresenta un ostacolo e una grande sfida per il percorso di integrazione attraverso il dialogo e il rispetto reciproco. Non si è riusciti a dimostrare in maniera evidente al popolo che il divieto di costruzione dei minareti non contribuisce a una sana convivenza di religioni e culture. Al contrario la deteriora. La campagna elettorale, con le sue esagerazioni e le sue caricature, ha mostrato che la pace religiosa non va da sé e deve essere sempre difesa».«Il “sì” all’iniziativa – prosegue la nota di Müller – aumenta i problemi di convivenza tra le religioni e le culture». Secondo l’episcopato svizzero, «la prima sfida è quella di ripristinare nell’opinione pubblica la fiducia necessaria per il nostro ordine giuridico e l’adeguata attenzione agli interessi di tutti. E ciò richiede la collaborazione di tutti in Svizzera, e in particolare dei responsabili dello Stato e della Chiesa». «Le difficoltà di convivenza tra le religioni e le culture – si legge ancora nella nota – non si limita alla Svizzera. I pastori della Chiesa cattolica hanno ribadito prima del voto che il divieto di costruzione di minareti non servirà ai cristiani oppressi e perseguitati nei Paesi islamici, ma deteriora la credibilità del loro impegno in quei Paesi». Come il crocifisso «Quelli che sostenevano il referendum – ha dichiarato alla Radio Vaticana il segretario generale della Conferenza episcopale svizzera, mons. Felix Gmür – dicono che la religione deve essere una cosa privata; ognuno può pregare dove vuole, ma non in luoghi pubblici. Nello stesso tempo si dicono cristiani, ma per un cristiano il culto non può essere solo un fatto privato. Su questo occorre aprire un dibattito che faccia chiarezza perché la società è disorientata, c’è una contraddizione in tutte le società europee, come dimostra la questione aperta sui crocifissi in Italia». Si vince la paura quando si vive insieme, ha osservato ancora Gmür, sottolineando il fatto che il referendum è stato respinto in città come Basilea e Ginevra dove vive il maggior numero di musulmani. Cammini quotidiani di pace Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente del Pontificio Consiglio dei migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, che è «sulla stessa linea dei vescovi svizzeri». Lo stesso Vegliò, del resto, aveva espresso con chiarezza il suo pensiero sul referendum qualche giorni prima, in occasione della presentazione del messaggio del Papa per la Giornata mondiale per i migranti: «Non vedo come si possa impedire la libertà religiosa di una minoranza, o a un gruppo di persone». «Certo – aveva aggiunto – notiamo un sentimento di avversione o paura un po’ dappertutto, ma un cristiano deve saper passare oltre tutto questo, anche se non c’è reciprocità».E sulla questione il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha osservato: «Da qualunque parte venga, l’uso strumentale della religione è sempre qualcosa di scorretto». È necessario «percorrere cammini di pace, cammini di pace concreti e non solamente dichiarati, ma operati, sia a livelli alti, nelle istituzioni internazionali, sia anche a livelli ordinari, quotidiani».