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Dopo il summit

Ue, quali risposte al G8?

Dietro le parole e le promesse servono impegni concreti e multilaterali

Gianni BORSA Redazione

16 Luglio 2009

Al G8 sono stati affrontati numerosissimi argomenti, ben oltre l’ordine dei lavori fissato in vista dell’appuntamento a L’Aquila. La globalizzazione impone di ragionare evitando i compartimenti stagni, specialmente se al tavolo degli autoproclamati “grandi” si aggiungono diversi altri protagonisti, dalla Cina all’India, dal Sudafrica all’Egitto, dall’Unione Europea alla Banca mondiale, desiderosi di far risuonare la propria voce. Così, ai punti cruciali della crisi economica, della tutela ambientale (nella versione del contrasto ai mutamenti climatici) e dell’emergenza alimentare, si sono sommati round sulla governance senza confini, sulle regole per i mercati finanziari, sulle instabilità regionali, sulle migrazioni e altro ancora.
Ospiti – curiosi e solidali – delle aree terremotate, i leader politici del G8 hanno anzitutto offerto un segnale chiaro e positivo, dimostrando la volontà di discutere su tutto, senza preclusioni. A parte qualche defezione e chiusura preconcetta (la Cina non vuole sentirne di diritti umani; la Russia continua a ritenere che la deterrenza missilistica sia una modalità efficace per tenere a bada l’amico-nemico statunitense), ogni argomento è stato ritenuto degno di attenzione “planetaria”. In realtà si tratta di temi la cui sede naturale di mediazione dovrebbe essere l’Onu; ma, in attesa di una riforma del Palazzo di Vetro, anche il G8, il G14, il G20 o simili arenghi possono risultare utili.
Preso atto che a L’Aquila le discussioni sono avvenute a 360 gradi, bisogna però riconoscere che i risultati effettivi del vertice sono stati modesti. Ovvero, le promesse si sono moltiplicate, ma con le parole non si affrontano efficacemente gli tsunami finanziari, non si regolano i commerci mondiali, non si salvaguarda il creato dalle emissioni a effetto serra, non si costruiscono pozzi per dare l’acqua né si procura cibo per chi vive nelle regioni sottosvil uppate. I Grandi e gli Stati emergenti hanno evitato di assumere impegni precisi o tabelle di marcia in materia economica, non hanno stabilito i reciproci compiti (e costi) in campo ambientale; hanno invece ribadito la volontà di destinare (pochi) dollari agli Obiettivi del Millennio, benché le stesse promesse sbandierate in occasioni precedenti siano rimaste sostanzialmente lettera morta. Alla volontà dimostrata di dibattere con uno sguardo planetario, occorre adesso accostare azioni coraggiose impostate alla responsabilità e alla solidarietà. E per l’Unione europea, che negli ultimi tempi ha svolto il ruolo di “promotore” di una nuova governance globale, è giunto il momento di premere sull’acceleratore del multilateralismo e della concretezza. Al G8 sono stati affrontati numerosissimi argomenti, ben oltre l’ordine dei lavori fissato in vista dell’appuntamento a L’Aquila. La globalizzazione impone di ragionare evitando i compartimenti stagni, specialmente se al tavolo degli autoproclamati “grandi” si aggiungono diversi altri protagonisti, dalla Cina all’India, dal Sudafrica all’Egitto, dall’Unione Europea alla Banca mondiale, desiderosi di far risuonare la propria voce. Così, ai punti cruciali della crisi economica, della tutela ambientale (nella versione del contrasto ai mutamenti climatici) e dell’emergenza alimentare, si sono sommati round sulla governance senza confini, sulle regole per i mercati finanziari, sulle instabilità regionali, sulle migrazioni e altro ancora.Ospiti – curiosi e solidali – delle aree terremotate, i leader politici del G8 hanno anzitutto offerto un segnale chiaro e positivo, dimostrando la volontà di discutere su tutto, senza preclusioni. A parte qualche defezione e chiusura preconcetta (la Cina non vuole sentirne di diritti umani; la Russia continua a ritenere che la deterrenza missilistica sia una modalità efficace per tenere a bada l’amico-nemico statunitense), ogni argomento è stato ritenuto degno di attenzione “planetaria”. In realtà si tratta di temi la cui sede naturale di mediazione dovrebbe essere l’Onu; ma, in attesa di una riforma del Palazzo di Vetro, anche il G8, il G14, il G20 o simili arenghi possono risultare utili.Preso atto che a L’Aquila le discussioni sono avvenute a 360 gradi, bisogna però riconoscere che i risultati effettivi del vertice sono stati modesti. Ovvero, le promesse si sono moltiplicate, ma con le parole non si affrontano efficacemente gli tsunami finanziari, non si regolano i commerci mondiali, non si salvaguarda il creato dalle emissioni a effetto serra, non si costruiscono pozzi per dare l’acqua né si procura cibo per chi vive nelle regioni sottosvil uppate. I Grandi e gli Stati emergenti hanno evitato di assumere impegni precisi o tabelle di marcia in materia economica, non hanno stabilito i reciproci compiti (e costi) in campo ambientale; hanno invece ribadito la volontà di destinare (pochi) dollari agli Obiettivi del Millennio, benché le stesse promesse sbandierate in occasioni precedenti siano rimaste sostanzialmente lettera morta. Alla volontà dimostrata di dibattere con uno sguardo planetario, occorre adesso accostare azioni coraggiose impostate alla responsabilità e alla solidarietà. E per l’Unione europea, che negli ultimi tempi ha svolto il ruolo di “promotore” di una nuova governance globale, è giunto il momento di premere sull’acceleratore del multilateralismo e della concretezza.