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Studi

Conciliare il lavoro e la famiglia non è un problema solo delle donne

Dal 29 settembre al 2 ottobre l'Università Cattolica di Milano ha ospitato il Convegno internazionale "Family transitions and family in transition", organizzato dall'European Society on Family relations (ESFR).�Numerose le sessioni�sul tema del rapporto tra i tempi della professione e quelli della vita�privata

di Stefania CECCHETTI Redazione

1 Ottobre 2010

Volere la famiglia, e volere la carriera. I figli e il lavoro. Insieme. Praticamente la luna. È il dilemma che i sociologi chiamano “conciliazione famiglia-lavoro”. Un tema che sta a cuore anche alla Chiesa italiana, che ha da poco iniziato i preparativi per il settimo Incontro mondiale delle famiglie, che si terrà nel 2012 proprio a Milano e sul tema “La famiglia: il lavoro e la festa”.
E un tema caro anche ai 400 studiosi della famiglia che sono approdati a Milano da 31 Paesi del mondo per il Convegno internazionale “Family transitions and family in transition”, organizzato dall’European Society on Family relations (ESFR) e promosso dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica dal 29 settembre al 2 ottobre 2010.
Come spiega Giovanna Rossi, ordinario di Sociologia della famiglia presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica, quello della conciliazione tra il lavoro e la famiglia è uno degli argomenti chiave del Convegno, che ha previsto almeno una sessione sul tema per ognuna delle giornate.
In particolare, il simposio curato da Giovanna Rossi e dalla sua collaboratrice Sara Mazzucchelli, tenutosi nella giornata di apertura, ha sottolineato come quello della conciliazione sia un problema che non riguarda solo la donna, ma la coppia e l’intera rete delle relazioni familiari.
«Riguardo alle opportunità di lavoro – spiega Rossi – ci possono essere due atteggiamenti diversi. C’è chi fa i conti con le proprie aspettative senza coinvolgere la famiglia nel processo decisionale e chi, invece, si confronta con il partner e con tutto il “network” che supporta la famiglia. Perché le decisioni lavorative, poi, coinvolgono altri soggetti, per esempio i nonni che dovranno aiutare nella cura dei figli».
Il danno di un approccio individualistico è duplice: «Intanto organizzativo perché la famiglia riceverà meno aiuto. E poi relazionale: dove non c’è uno stile di confronto, alla lunga, la coppia ne risente».
È più spesso la donna ad essere protagonista del dilemma della conciliazione. Una decisione che troppo spesso pende dalla parte degli affetti più che da quella della carriera. Ma anche la decisione di “fare un passo indietro” può essere una scelta individuale e poco condivisa, e anche in questo caso le ricadute non sono positive: «Molte donne si censurano in virtù di un modello che hanno interiorizzato, senza coinvolgere la coppia. Ma così la decisione è più difficile da gestire e, soprattutto, è meno reversibile», sottolinea Rossi.
Al di là dello stile con cui lo si affronta, resta il fatto che tenere insieme l’ambito familiare e quello professionale non è uno scherzo per le donne di oggi. Lo Stato, che può dotarsi di leggi più o meno amiche delle donne lavoratrici. Il mercato del lavoro, che può essere più o meno rigido su questo tema. Infine la rete dei servizi e degli aiuti alla famiglia. «La legge nazionale sui congedi – spiega Rossi – è ottima, peccato che non sia sempre sfruttata a pieno. Il mercato italiano, invece, è ancora molto rigido, anche perché la realtà del nostro Paese è soprattutto una realtà di piccola e media impresa, dove è oggettivamente più difficile, rispetto a una grande azienda, gestire le assenze per maternità e gli eventuali part-time».
A questo proposito,inutile nasconderlo, non esistono ancora leggi valide a tutela delle lavoratrici-mamme. Dovrà ben esserci un modo per far sì che il datore di lavoro abbia una convenienza, per esempio fiscale, nel concedere misure di part-time o di job-sharing. Altrimenti i problemi organizzativi e di fattibilità aziendale, che senza dubbio ci sono nell’avere una o più persone “a mezzo servizio”, relegheranno sempre il part-time a una fortunata eccezione nel panorama lavorativo italiano.
Infine, per quel che riguarda la rete di supporto intorno alla donna “conciliatrice”, c’è da dire che conta molto, non solo in termini di aiuto, ma anche di riferimento ideale, come fa notare ancora Rossi: «I genitori, diventati nonni, non sono solo un aiuto, ma anche un effettivo termine di riferimento quando si parla di scelte lavorative delle donne».
Come a dire: faccio come ha fatto mia mamma o, più spesso, faccio diversamente da come ha fatto lei. Ecco perché vediamo tante “sessantottine” che curano i nipoti colmandoli di quelle attenzioni che forse non hanno avuto tempo di riservare ai loro figli, mentre le figlie, che oggi hanno quarant’anni, lavorano sì, ma con moderazione, bene decise a non sacrificare le relazioni familiari sull’altare della carriera. «Le mamme di oggi – conclude Rossi – hanno una preoccupazione educativa verso i figli che è nuova e molto interessante». Volere la famiglia, e volere la carriera. I figli e il lavoro. Insieme. Praticamente la luna. È il dilemma che i sociologi chiamano “conciliazione famiglia-lavoro”. Un tema che sta a cuore anche alla Chiesa italiana, che ha da poco iniziato i preparativi per il settimo Incontro mondiale delle famiglie, che si terrà nel 2012 proprio a Milano e sul tema “La famiglia: il lavoro e la festa”.E un tema caro anche ai 400 studiosi della famiglia che sono approdati a Milano da 31 Paesi del mondo per il Convegno internazionale “Family transitions and family in transition”, organizzato dall’European Society on Family relations (ESFR) e promosso dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica dal 29 settembre al 2 ottobre 2010.Come spiega Giovanna Rossi, ordinario di Sociologia della famiglia presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica, quello della conciliazione tra il lavoro e la famiglia è uno degli argomenti chiave del Convegno, che ha previsto almeno una sessione sul tema per ognuna delle giornate.In particolare, il simposio curato da Giovanna Rossi e dalla sua collaboratrice Sara Mazzucchelli, tenutosi nella giornata di apertura, ha sottolineato come quello della conciliazione sia un problema che non riguarda solo la donna, ma la coppia e l’intera rete delle relazioni familiari.«Riguardo alle opportunità di lavoro – spiega Rossi – ci possono essere due atteggiamenti diversi. C’è chi fa i conti con le proprie aspettative senza coinvolgere la famiglia nel processo decisionale e chi, invece, si confronta con il partner e con tutto il “network” che supporta la famiglia. Perché le decisioni lavorative, poi, coinvolgono altri soggetti, per esempio i nonni che dovranno aiutare nella cura dei figli».Il danno di un approccio individualistico è duplice: «Intanto organizzativo perché la famiglia riceverà meno aiuto. E poi relazionale: dove non c’è uno stile di confronto, alla lunga, la coppia ne risente».È più spesso la donna ad essere protagonista del dilemma della conciliazione. Una decisione che troppo spesso pende dalla parte degli affetti più che da quella della carriera. Ma anche la decisione di “fare un passo indietro” può essere una scelta individuale e poco condivisa, e anche in questo caso le ricadute non sono positive: «Molte donne si censurano in virtù di un modello che hanno interiorizzato, senza coinvolgere la coppia. Ma così la decisione è più difficile da gestire e, soprattutto, è meno reversibile», sottolinea Rossi.Al di là dello stile con cui lo si affronta, resta il fatto che tenere insieme l’ambito familiare e quello professionale non è uno scherzo per le donne di oggi. Lo Stato, che può dotarsi di leggi più o meno amiche delle donne lavoratrici. Il mercato del lavoro, che può essere più o meno rigido su questo tema. Infine la rete dei servizi e degli aiuti alla famiglia. «La legge nazionale sui congedi – spiega Rossi – è ottima, peccato che non sia sempre sfruttata a pieno. Il mercato italiano, invece, è ancora molto rigido, anche perché la realtà del nostro Paese è soprattutto una realtà di piccola e media impresa, dove è oggettivamente più difficile, rispetto a una grande azienda, gestire le assenze per maternità e gli eventuali part-time».A questo proposito,inutile nasconderlo, non esistono ancora leggi valide a tutela delle lavoratrici-mamme. Dovrà ben esserci un modo per far sì che il datore di lavoro abbia una convenienza, per esempio fiscale, nel concedere misure di part-time o di job-sharing. Altrimenti i problemi organizzativi e di fattibilità aziendale, che senza dubbio ci sono nell’avere una o più persone “a mezzo servizio”, relegheranno sempre il part-time a una fortunata eccezione nel panorama lavorativo italiano.Infine, per quel che riguarda la rete di supporto intorno alla donna “conciliatrice”, c’è da dire che conta molto, non solo in termini di aiuto, ma anche di riferimento ideale, come fa notare ancora Rossi: «I genitori, diventati nonni, non sono solo un aiuto, ma anche un effettivo termine di riferimento quando si parla di scelte lavorative delle donne».Come a dire: faccio come ha fatto mia mamma o, più spesso, faccio diversamente da come ha fatto lei. Ecco perché vediamo tante “sessantottine” che curano i nipoti colmandoli di quelle attenzioni che forse non hanno avuto tempo di riservare ai loro figli, mentre le figlie, che oggi hanno quarant’anni, lavorano sì, ma con moderazione, bene decise a non sacrificare le relazioni familiari sull’altare della carriera. «Le mamme di oggi – conclude Rossi – hanno una preoccupazione educativa verso i figli che è nuova e molto interessante».