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Esteri

Europa, una pezza non basta

Portogallo e Irlanda ammoniscono

di Gianni BORSA Redazione

17 Novembre 2010

L’Europa è di nuovo alle prese con bilanci pubblici dissestati, disavanzi ballerini, debiti nazionali in fase di lievitazione. Dopo il salvataggio, nei mesi scorsi, della Grecia, ora si presentano i casi turbolenti di Irlanda e Portogallo, ma anche la situazione spagnola fa tremare la stabilità finanziaria del vecchio continente. Quasi tutti i paesi dell’Ue – Italia compresa – mostrano conti statali sofferenti: la crisi economica, generatasi in America oltre due anni or sono, ha colpito dapprima i mercati finanziari, poi i settori produttivi e il commercio. Quindi è arrivata la disoccupazione, che ha portato via a tante famiglie la certezza del lavoro e dei redditi, ricadendo poi sul livello dei consumi.
L’Unione europea aveva tra i primi lanciato l’allarme alla fine dell’estate 2008: «Occorre muoversi assieme, fissare regole per contrastare le speculazioni finanziarie, per stabilizzare le monete, per rilanciare la crescita». La nuova parola d’ordine sembrava essere governance. La politica tornava a farsi sentire, con la (comprensibile) pretesa di stabilire le “regole del gioco” nei confronti di una economia incapace di regolarsi da sé.
I passi avanti non sono mancati, e si è forse evitato il peggio. La stessa Ue ha stretto i bulloni della zona euro. Poi, verso fine del 2009, quando si intravvedeva la ripresa e una dignitosa via d’uscita, era arrivata una duplice sorpresa: l’economia mondiale, e dunque quella europea, tardava a fare passi avanti, mentre esplodeva il caso della Grecia, con conti pubblici insostenibili. Ne era seguita la creazione di un fondo europeo per la stabilizzazione, che ora potrebbe servire per salvare anche Dublino e Lisbona. E – pur senza essere catastrofisti – chissà chi altri.
Le istituzioni comunitarie vigilano e le capitali nazionali guardano, forse con meno sospetto del solito, a quanto l’Unione, assieme alla Banca centrale di Francoforte e al Fondo monetario internazionale, può fare per arginare nuovi scivoloni. Ma mettere una pezza non basta. Lo hanno ricordato più volte il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, quello della Commissione, José Manuel Barroso, quindi il capo della Bce, Jean-Claude Trichet: per superare la crisi si devono muovere i mercati mondiali, devono ripartire le locomotive statunitense e tedesca, servono investimenti produttivi per creare lavoro e quindi rilanciare i consumi. E poi controllo dei debiti statali, riduzione della pressione fiscale, riforme strutturali come quella dei sistemi pensionistici… Il tutto in un quadro di maggiore governance, di stretta cooperazione economica, di rafforzata presenza sui mercati mondiali, tenendo sotto controllo all’interno dell’Unione le riemergenti tendenze al protezionismo e, all’esterno, le baldanzose economie di Cina, India, Brasile… Senza trascurare la necessità di strategie condivise in alcuni campi fondamentali come l’energia e la ricerca.
Alcuni prossimi appuntamenti potranno aiutare a chiarire i termini della situazione: dopo il mezzo fallimento del G20, sono ormai imminenti, fra gli altri, il vertice Ue-Usa del 20 novembre, a ridosso della conferenza mondiale di Cancun sul cambiamento climatico, che si terrà invece dal 29 novembre al 10 dicembre. Anche in questi casi si dovrà misurare la capacità, europea ma non solo, di risposta comune a sfide che interpellano tutti. L’Europa è di nuovo alle prese con bilanci pubblici dissestati, disavanzi ballerini, debiti nazionali in fase di lievitazione. Dopo il salvataggio, nei mesi scorsi, della Grecia, ora si presentano i casi turbolenti di Irlanda e Portogallo, ma anche la situazione spagnola fa tremare la stabilità finanziaria del vecchio continente. Quasi tutti i paesi dell’Ue – Italia compresa – mostrano conti statali sofferenti: la crisi economica, generatasi in America oltre due anni or sono, ha colpito dapprima i mercati finanziari, poi i settori produttivi e il commercio. Quindi è arrivata la disoccupazione, che ha portato via a tante famiglie la certezza del lavoro e dei redditi, ricadendo poi sul livello dei consumi.L’Unione europea aveva tra i primi lanciato l’allarme alla fine dell’estate 2008: «Occorre muoversi assieme, fissare regole per contrastare le speculazioni finanziarie, per stabilizzare le monete, per rilanciare la crescita». La nuova parola d’ordine sembrava essere governance. La politica tornava a farsi sentire, con la (comprensibile) pretesa di stabilire le “regole del gioco” nei confronti di una economia incapace di regolarsi da sé.I passi avanti non sono mancati, e si è forse evitato il peggio. La stessa Ue ha stretto i bulloni della zona euro. Poi, verso fine del 2009, quando si intravvedeva la ripresa e una dignitosa via d’uscita, era arrivata una duplice sorpresa: l’economia mondiale, e dunque quella europea, tardava a fare passi avanti, mentre esplodeva il caso della Grecia, con conti pubblici insostenibili. Ne era seguita la creazione di un fondo europeo per la stabilizzazione, che ora potrebbe servire per salvare anche Dublino e Lisbona. E – pur senza essere catastrofisti – chissà chi altri.Le istituzioni comunitarie vigilano e le capitali nazionali guardano, forse con meno sospetto del solito, a quanto l’Unione, assieme alla Banca centrale di Francoforte e al Fondo monetario internazionale, può fare per arginare nuovi scivoloni. Ma mettere una pezza non basta. Lo hanno ricordato più volte il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, quello della Commissione, José Manuel Barroso, quindi il capo della Bce, Jean-Claude Trichet: per superare la crisi si devono muovere i mercati mondiali, devono ripartire le locomotive statunitense e tedesca, servono investimenti produttivi per creare lavoro e quindi rilanciare i consumi. E poi controllo dei debiti statali, riduzione della pressione fiscale, riforme strutturali come quella dei sistemi pensionistici… Il tutto in un quadro di maggiore governance, di stretta cooperazione economica, di rafforzata presenza sui mercati mondiali, tenendo sotto controllo all’interno dell’Unione le riemergenti tendenze al protezionismo e, all’esterno, le baldanzose economie di Cina, India, Brasile… Senza trascurare la necessità di strategie condivise in alcuni campi fondamentali come l’energia e la ricerca.Alcuni prossimi appuntamenti potranno aiutare a chiarire i termini della situazione: dopo il mezzo fallimento del G20, sono ormai imminenti, fra gli altri, il vertice Ue-Usa del 20 novembre, a ridosso della conferenza mondiale di Cancun sul cambiamento climatico, che si terrà invece dal 29 novembre al 10 dicembre. Anche in questi casi si dovrà misurare la capacità, europea ma non solo, di risposta comune a sfide che interpellano tutti.