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Social Watch

«I più poveri, le prime vittime della crisi»

La denuncia del network nell'ultimo rapporto "People first". Regressione nel 18% dei Paesi al mondo, di cui il 41% fa parte dell'Africa subsahariana. E gli Obiettivi del Millennio diventano un miraggio

12 Febbraio 2010

L’obiettivo di sradicare la fame e la povertà entro il 2015, come previsto nei programmi degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, rischia di rimanere un miraggio per la maggior parte dei Paesi nel mondo, anche a causa della crisi economica che ha colpito maggiormente i Paesi poveri. A denunciarlo è l’ultimo rapporto del Social Watch “People First”.
Lo studio analizza lo stato di salute e il livello dell’istruzione elementare a livello mondiale tramite il calcolo di un indice di Capacità di Base (Bci), che definisce la povertà non in termini di reddito, ma in base alla possibilità di godere di alcuni diritti fondamentali, come la percentuale di bambini che arriva alla quinta elementare, la sopravvivenza fino ai cinque anni di età e la percentuale di nascite assistite da personale qualificato.
«Studiando l’impatto sociale della crisi a livello internazionale – afferma Jason Nardi, portavoce del Social Watch Italia -, emerge che a pagarne le conseguenze più dure sono i paesi impoveriti e le persone più vulnerabili, molte delle quali sono nuovi poveri. Fra le prime vittime del crollo dei mercati finanziari vi sono i più poveri che, spendendo dal 50 all’80% del loro reddito in beni alimentari, risentono maggiormente dell’aumento del costo delle derrate agricole. Ma anche le donne, spesso impiegate in lavori precari o a cottimo, con minori salari e più bassi livelli di tutela sociale».
L’analisi mostra risultati preoccupanti. Al 2009, quasi la metà dei Paesi analizzati (circa il 42%) ha un valore dell’Indice Bci basso, molto basso o critico. La maggioranza della popolazione mondiale vive in Paesi in cui i principali indicatori sociali sono immobili o progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio.
A far registrare una regressione, in alcuni casi accelerata, è il 18% dei Paesi al mondo, di cui il 41% fa parte dell’Africa subsahariana. L’Asia meridionale sta invece progredendo rapidamente, pur partendo da valori molto bassi, mentre in America Latina e nei Caraibi non si registrano miglioramenti. Solo Europa e Nord America, spiega lo studio, potrebbero raggiungere entro il 2015 valori accettabili dell’indice.
A corollario della difficile situazione inquadrata dal rapporto, anche la mancata destinazione degli aiuti pubblici allo sviluppo. Secondo lo studio, solo Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda e Lussemburgo hanno rispettato gli obiettivi delle Nazioni unite, destinando almeno lo 0,7% del Pil all’aiuto pubblico, mentre in Italia è sceso dallo 0,2% del Pil a meno dello 0,17%, al pari della Grecia e di poco al di sopra della Repubblica Ceca.
La coalizione italiana del network Social Watch è costituita da Acli, Arci, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Lunaria, Mani Tese, Ucodep, Wwf. L’obiettivo di sradicare la fame e la povertà entro il 2015, come previsto nei programmi degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, rischia di rimanere un miraggio per la maggior parte dei Paesi nel mondo, anche a causa della crisi economica che ha colpito maggiormente i Paesi poveri. A denunciarlo è l’ultimo rapporto del Social Watch “People First”.Lo studio analizza lo stato di salute e il livello dell’istruzione elementare a livello mondiale tramite il calcolo di un indice di Capacità di Base (Bci), che definisce la povertà non in termini di reddito, ma in base alla possibilità di godere di alcuni diritti fondamentali, come la percentuale di bambini che arriva alla quinta elementare, la sopravvivenza fino ai cinque anni di età e la percentuale di nascite assistite da personale qualificato.«Studiando l’impatto sociale della crisi a livello internazionale – afferma Jason Nardi, portavoce del Social Watch Italia -, emerge che a pagarne le conseguenze più dure sono i paesi impoveriti e le persone più vulnerabili, molte delle quali sono nuovi poveri. Fra le prime vittime del crollo dei mercati finanziari vi sono i più poveri che, spendendo dal 50 all’80% del loro reddito in beni alimentari, risentono maggiormente dell’aumento del costo delle derrate agricole. Ma anche le donne, spesso impiegate in lavori precari o a cottimo, con minori salari e più bassi livelli di tutela sociale».L’analisi mostra risultati preoccupanti. Al 2009, quasi la metà dei Paesi analizzati (circa il 42%) ha un valore dell’Indice Bci basso, molto basso o critico. La maggioranza della popolazione mondiale vive in Paesi in cui i principali indicatori sociali sono immobili o progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio.A far registrare una regressione, in alcuni casi accelerata, è il 18% dei Paesi al mondo, di cui il 41% fa parte dell’Africa subsahariana. L’Asia meridionale sta invece progredendo rapidamente, pur partendo da valori molto bassi, mentre in America Latina e nei Caraibi non si registrano miglioramenti. Solo Europa e Nord America, spiega lo studio, potrebbero raggiungere entro il 2015 valori accettabili dell’indice.A corollario della difficile situazione inquadrata dal rapporto, anche la mancata destinazione degli aiuti pubblici allo sviluppo. Secondo lo studio, solo Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda e Lussemburgo hanno rispettato gli obiettivi delle Nazioni unite, destinando almeno lo 0,7% del Pil all’aiuto pubblico, mentre in Italia è sceso dallo 0,2% del Pil a meno dello 0,17%, al pari della Grecia e di poco al di sopra della Repubblica Ceca.La coalizione italiana del network Social Watch è costituita da Acli, Arci, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Lunaria, Mani Tese, Ucodep, Wwf.