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Emergenza

L’arte a San Vittore provoca i reclusi

di Luisa BOVE Redazione

23 Luglio 2010

“Caravaggio in galera” (Arpanet, 180 pagine, 14 euro) di Stefano Zuffi, storico dell’arte e curatore di mostre e collane di libri, è una raccolta di riflessioni, commenti, sfoghi e memorie che alcuni dipinti famosi hanno suscitato in un pubblico d’eccezione: i detenuti di San Vittore. Tele famose di Giorgione, Caravaggio, Rembrandt e Van Gogh sono state proiettate sulle nude pareti del penitenziario milanese suscitando nel Gruppo della Trasgressione conversazioni sull’arte guidate da Zuffi e da Angelo Aparo, psicologo di San Vittore. «Si è creato un rapporto diretto, quasi fisico, tra i carcerati e i dipinti antichi». Di fronte alla “Tempesta” del Giorgione i reclusi hanno ricordato episodi della loro infanzia, del rapporto con il padre o con la donna amata, a partire dalle pennellate del grande artista. “La vocazione di S. Matteo” del Caravaggio ha fatto ammettere al trafficante di opere d’arte: «Ho sempre pensato che fossero i soldi a fare la differenza della felicità, ma capisco che non è così. Si può seguire un’idea anche per ragioni diverse dai soldi, come ha fatto Matteo». Ma il dipinto che più di ogni altro ha suscitato emozioni, commenti e riflessioni è stato senz’altro il “Ritorno del figliol prodigo” di Rembrandt: l’artista ha stigmatizzato il famoso episodio evangelico con l’abbraccio tra padre e figlio. Una vera provocazione per i reclusi di piazza Filangeri che detto e scritto fiumi di parole cariche di sentimenti contrapposti: stupore, rabbia, gelosia, compassione, pentimento… «Non so se merito il perdono – ha ammesso uno di loro – ma è certo che mi sento in colpa per quello che ho fatto». E un altro: «Quel tenero abbraccio tra padre e figlio esprime tutto ciò che ho desiderato e non ho mai avuto». Tra le opere proiettate a San Vittore non poteva mancare “Ora d’aria in prigione” di Van Gogh che qualcuno ha considerato «un manifesto di ottimismo», forse anche per le due farfalle raffigurate, simbolo di libertà. “Caravaggio in galera” (Arpanet, 180 pagine, 14 euro) di Stefano Zuffi, storico dell’arte e curatore di mostre e collane di libri, è una raccolta di riflessioni, commenti, sfoghi e memorie che alcuni dipinti famosi hanno suscitato in un pubblico d’eccezione: i detenuti di San Vittore. Tele famose di Giorgione, Caravaggio, Rembrandt e Van Gogh sono state proiettate sulle nude pareti del penitenziario milanese suscitando nel Gruppo della Trasgressione conversazioni sull’arte guidate da Zuffi e da Angelo Aparo, psicologo di San Vittore. «Si è creato un rapporto diretto, quasi fisico, tra i carcerati e i dipinti antichi». Di fronte alla “Tempesta” del Giorgione i reclusi hanno ricordato episodi della loro infanzia, del rapporto con il padre o con la donna amata, a partire dalle pennellate del grande artista. “La vocazione di S. Matteo” del Caravaggio ha fatto ammettere al trafficante di opere d’arte: «Ho sempre pensato che fossero i soldi a fare la differenza della felicità, ma capisco che non è così. Si può seguire un’idea anche per ragioni diverse dai soldi, come ha fatto Matteo». Ma il dipinto che più di ogni altro ha suscitato emozioni, commenti e riflessioni è stato senz’altro il “Ritorno del figliol prodigo” di Rembrandt: l’artista ha stigmatizzato il famoso episodio evangelico con l’abbraccio tra padre e figlio. Una vera provocazione per i reclusi di piazza Filangeri che detto e scritto fiumi di parole cariche di sentimenti contrapposti: stupore, rabbia, gelosia, compassione, pentimento… «Non so se merito il perdono – ha ammesso uno di loro – ma è certo che mi sento in colpa per quello che ho fatto». E un altro: «Quel tenero abbraccio tra padre e figlio esprime tutto ciò che ho desiderato e non ho mai avuto». Tra le opere proiettate a San Vittore non poteva mancare “Ora d’aria in prigione” di Van Gogh che qualcuno ha considerato «un manifesto di ottimismo», forse anche per le due farfalle raffigurate, simbolo di libertà.