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Esteri

Medio Oriente, mutue aspirazioni di pace

Palestinesi e Israeliani al Meeting di Sant'Egidio

a cura di Daniele ROCCHI Redazione

5 Ottobre 2010

Una stretta di mano per ri-dire al mondo che esiste una volontà di pace, che questa esige pazienza, tempo e soprattutto dialogo, unico mezzo per concretizzare un sogno condiviso. Se la sono data il ministro israeliano delle Relazioni diplomatiche e della Diaspora, Yuli Yoel Edelstein, e quello degli Affari religiosi dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahamoud Al-Habash, incontratisi al Meeting internazionale di Sant’Egidio per la Pace “Vivere insieme in un tempo di crisi” a Barcellona. «Un gesto importante e significativo – ha detto Mario Marazziti, della Comunità di Sant’Egidio, che ha coordinato l’incontro tra i due – che arriva in un momento in cui sale la tensione a Gerusalemme sulla questione degli insediamenti dei coloni».
Alla presenza di oltre 350 autorità politiche e religiose, tra cui il rabbino capo di Israele, Yona Metzger, e il ministro egiziano per gli affari religiosi Zakzouk, i due politici hanno illustrato le loro posizioni, instaurando un dialogo aperto e franco senza nascondersi i problemi. «La maggioranza degli israeliani – ha detto Edelstein – oggi voterebbe per la pace, per questo dobbiamo continuare a dialogare, senza cronometro, cercando di vivere insieme. Non c’è motivo per spararsi anzi dovremmo cercare di cooperare in campo economico e ambientale, con particolare riferimento alle fonti di acqua».
Dal canto suo, Al-Habash, ha affermato che «non esiste giustificazione all’allontanamento gli uni dagli altri. C’è una sola strada da percorrere per arrivare alla pace ed è il dialogo. Israele – ha aggiunto il ministro palestinese – deve scegliere: la pace non è solo con i palestinesi ma con il mondo arabo. Due popoli, due stati, ormai abbiamo compreso che c’è una terra per Israele ed una per i palestinesi e non servono armi per stabilirlo. Occorre risolvere i confini ed ogni altra cosa troverà una conseguente soluzione. Solo uno Stato sovrano – ha aggiunto il politico dell’Anp riferendosi al futuro Stato palestinese – può trattare per soluzioni definitive e non parziali. Non è saggio lasciar perdere l’opportunità di dialogo che abbiamo davanti. Israele accolga la mano tesa dei palestinesi, perché la strada per la pace è chiara, ora dobbiamo applicare il metodo del dialogo. Vi tendiamo la mano per costruire un buon vicinato». Una stretta di mano per ri-dire al mondo che esiste una volontà di pace, che questa esige pazienza, tempo e soprattutto dialogo, unico mezzo per concretizzare un sogno condiviso. Se la sono data il ministro israeliano delle Relazioni diplomatiche e della Diaspora, Yuli Yoel Edelstein, e quello degli Affari religiosi dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahamoud Al-Habash, incontratisi al Meeting internazionale di Sant’Egidio per la Pace “Vivere insieme in un tempo di crisi” a Barcellona. «Un gesto importante e significativo – ha detto Mario Marazziti, della Comunità di Sant’Egidio, che ha coordinato l’incontro tra i due – che arriva in un momento in cui sale la tensione a Gerusalemme sulla questione degli insediamenti dei coloni».Alla presenza di oltre 350 autorità politiche e religiose, tra cui il rabbino capo di Israele, Yona Metzger, e il ministro egiziano per gli affari religiosi Zakzouk, i due politici hanno illustrato le loro posizioni, instaurando un dialogo aperto e franco senza nascondersi i problemi. «La maggioranza degli israeliani – ha detto Edelstein – oggi voterebbe per la pace, per questo dobbiamo continuare a dialogare, senza cronometro, cercando di vivere insieme. Non c’è motivo per spararsi anzi dovremmo cercare di cooperare in campo economico e ambientale, con particolare riferimento alle fonti di acqua».Dal canto suo, Al-Habash, ha affermato che «non esiste giustificazione all’allontanamento gli uni dagli altri. C’è una sola strada da percorrere per arrivare alla pace ed è il dialogo. Israele – ha aggiunto il ministro palestinese – deve scegliere: la pace non è solo con i palestinesi ma con il mondo arabo. Due popoli, due stati, ormai abbiamo compreso che c’è una terra per Israele ed una per i palestinesi e non servono armi per stabilirlo. Occorre risolvere i confini ed ogni altra cosa troverà una conseguente soluzione. Solo uno Stato sovrano – ha aggiunto il politico dell’Anp riferendosi al futuro Stato palestinese – può trattare per soluzioni definitive e non parziali. Non è saggio lasciar perdere l’opportunità di dialogo che abbiamo davanti. Israele accolga la mano tesa dei palestinesi, perché la strada per la pace è chiara, ora dobbiamo applicare il metodo del dialogo. Vi tendiamo la mano per costruire un buon vicinato». Non tenere la pace in ostaggio La risposta del ministro israeliano non si è fatta attendere: stringendo la mano del suo collega palestinese ha dichiarato che «la pace non può essere ostaggio degli uomini d’arme. Buoni muri non fanno buoni vicini. Dialogare è meglio che combattere». Invitati a mettersi l’uno nei panni dell’altro da Marazziti i due politici hanno concluso: «Se fossi israeliano tenderei subito la mano ai palestinesi», ha detto Al-Habash, mentre Edelstein ha riconosciuto che se fosse un palestinese sarebbe «piuttosto arrabbiato» anche con quelli nel mondo arabo, come «il leader iraniano Ahmadinejad», che “sostengono Hamas ed Hezbollah, affermano che dobbiamo combattere, ma ci tengono ancora nei campi profughi. Tuttavia sarei ottimista perché vedo che qualcosa sta cambiando, anche con l’aiuto del Dio della pace».All’apertura dell’incontro era presente anche il rabbino di Israele: «Vogliamo essere fratelli e vivere in pace, appoggiamoci gli uni verso gli altri – ha detto Yona Metzger, che ha auspicato una sorta di Onu delle religioni con una tv che parli solo di pace -. Oggi i due ministri ci hanno detto che cambiare il mondo è possibile e che la pace si può concretizzare». Solide fondamenta Per Mahmoud Zakzouk, ministro egiziano per gli Affari religiosi, crisi come quella mediorientale, che dura da oltre 60 anni necessita «non di soluzioni parziali o individuali da parte di alcune nazioni», ma condivise e partecipate «dal resto del mondo». «Nel mondo contemporaneo dobbiamo vivere insieme e perché questa coesistenza sia reale e fruttuosa per tutti, deve essere costruita su solide fondamenta. Ciò comporta la disponibilità ad affrontare due importanti questioni: riconoscere i diritti umani e la fiducia reciproca tra le parti. La fiducia esisterà solo quando i diritti umani saranno richiesti e riconosciuti e questo anche nella pratica».Ma c’è una terza questione che si lega alle altre: «La solidarietà, senza la quale sarà impossibile superare molte delle crisi attuali». In questo ambito le religioni «possono dare un contributo effettivo per creare un’atmosfera propizia per la coesistenza tra popoli e nazioni. Le religioni non istigano all’odio e non invitano alla violenza».