Share

Dopo Oppido e Larino

«Con la scomunica i mafiosi
perdono il consenso sociale»

Giuseppe Creazzo, Procuratore della Repubblica di Firenze, già Procuratore capo di Palmi: «Dopo tanta chiarezza del Papa, nessun rappresentante della Chiesa potrà più avere atteggiamenti morbidi, ambigui, o comunque di comprensione nei confronti del fenomeno mafioso»

di Maurizio CALIPARI

9 Luglio 2014

Le parole di Papa Francesco contro la mafia, pronunciate in Calabria, non cessano di suscitare reazioni positive nell’opinione pubblica a tutti i livelli, insieme a segnali di insofferenza da parte di chi propugna o sostiene la mentalità mafiosa. Eppure la cronaca di questi giorni riporta ancora episodi tristi e in contrasto con l’impegno a debellare il fenomeno mafioso in terra calabra, purtroppo anche in campo ecclesiale. Su questo tema abbiamo raccolto le riflessioni di Giuseppe Creazzo, Procuratore della Repubblica di Firenze, già Procuratore capo di Palmi.

Nella sua esperienza pluriennale prima a Reggio Calabria e poi a capo della Procura di Palmi ha potuto farsi un’idea concreta del peso del fenomeno mafioso in Calabria, anche in rapporto alla Chiesa. Dal suo punto d’osservazione privilegiato, a che punto siamo con le iniziative di contrasto alla mafia in questa regione?
È chiaro che il fenomeno mafioso nella società calabrese è molto rilevante. L’atteggiamento della Chiesa calabrese, supportato dai suoi documenti ufficiali sul tema, ormai da qualche anno è assolutamente risoluto e chiaro nel definire l’affiliazione alla ’ndrangheta come assolutamente incompatibile col Vangelo. Nei fatti, però, non tutti i pastori si sono sempre comportati coerentemente con questi insegnamenti, per tutta una serie di motivi, compresa talvolta la tendenza a dare un’interpretazione ambigua ed edulcorata dei documenti stessi. Evidentemente le cose stanno cambiando in meglio nel senso di una progressiva presa di coscienza che la lotta alla ’ndrangheta non più essere delegata solo ai soggetti istituzionali, ma riguarda la responsabilità di ciascuno, anche nell’ambito della Chiesa.

Come uomo dello Stato e della Legge, che valore riconosce alla forte presa di posizione di Papa Francesco in Calabria, culminata con la scomunica dei mafiosi?
La presa di posizione chiara, netta di papa Francesco che lancia un anatema contro la ’ndrangheta, arrivando a sancire in modo esplicito la scomunica per i mafiosi, esattamente a vent’anni di distanza dall’anatema contro Cosa Nostra che Giovanni Paolo II lanciò ad Agrigento nel ’93, non tollera più di essere equivocamente interpretata da chicchessia. Il fenomeno mafioso è un problema che, da ora in avanti, anche gli operatori della Chiesa non possono più trascurare. Evidentemente, rimane compito dei pastori tentare il recupero delle singole anime, compresi i mafiosi. Però, secondo me, dopo tanta chiarezza, nessun rappresentante della Chiesa potrà più avere atteggiamenti morbidi, ambigui, o comunque di comprensione nei confronti del fenomeno mafioso nel suo insieme.

Qual è il suo commento circa l’episodio occorso in questi giorni in una frazione di Oppido Mamertina riguardante l’omaggio riservato all’anziano boss Giuseppe Mazzagatti, mediante “l’inchino” della statua della Madonna durante una processione?
Era ora che episodi del genere, già accaduti in passato, trovassero ampia risonanza suscitando clamore e sdegno collettivo. È sempre bene che tali comportamenti da parte dei prepotenti, che spesso conducono le manifestazioni religiose, introducendosi nei comitati organizzatori o magari proponendosi come finanziatori generosi degli eventi stessi, vengano finalmente denunciati con chiarezza. Solo così l’ipocrisia che ha permesso di spacciare per gesto di attenzione verso un anziano malato, anche se è un boss condannato all’ergastolo per mafia in via definitiva, viene finalmente smascherata e sbugiardata: non si tratta di un gesto religioso o caritatevole, si tratta dell’omaggio di una intera comunità al boss del paese, e per di più in una delle manifestazioni più alte di popolo qual è quella di una solenne processione religiosa. Che queste cose vengano denunciate pubblicamente, diventino fenomeno nazionale e suscitino pubblica riprovazione, inchioda i promotori alle loro responsabilità, rendendo più difficile la loro reiterazione.

È di queste ore la notizia che nel carcere di Larino, in Molise, un gruppo di detenuti per mafia sta portando avanti una sorta di “sciopero” a oltranza rifiutandosi di partecipare alla messa, non potendo dopo la scomunica del Papa accostarsi ai sacramenti. Lei come interpreta questa iniziativa?
A mio parere, le proteste dei mafiosi nel carcere di Larino vanno interpretate in questo senso: ci si oppone alla svolta della inconciliabilità, ormai conclamata, fra l’essere mafioso appartenente a “mamma ’ndrangheta” e contemporaneamente potersi professare credente. Questa inconciliabilità, soprattutto dopo le parole di Papa Francesco, non è più equivocabile e questo stride fortemente con la mentalità pseudo religiosa del mafioso. Inoltre, nell’approvazione generale della condanna del Papa, probabilmente la mafia ha colto un segnale di rottura che potrebbe comportare l’inizio della fine, perché, se perde consenso sociale, la mafia non esiste più.

A suo avviso, c’è il rischio concreto che la mafia calabrese, sentendosi sotto pressione mediatica anche per le prese di posizione della Chiesa, possa alzare il tiro contro Stato e Chiesa, colpendo i suoi uomini più impegnati?
Questo rischio è tanto più alto quanto più rimane isolato chi lotta concretamente contro la ’ndrangheta da posizioni di responsabilità. Fare fronte comune, con tutte le componenti sociali, abbatte di molto questo rischio. Per esempio, nel ’93 don Pino Puglisi è morto perché Cosa Nostra lo ha considerato pericoloso in quanto soggetto che rompeva gli schemi di comportamento dei suoi confratelli che, evidentemente, non davano così tanto fastidio, e hanno lasciato don Pino isolato nel suo impegno pastorale e civile. Questo succede nell’ambito della Chiesa, della Magistratura, delle Forze dell’ordine: quando sei solo rischi di più.

Procuratore, a suo avviso, cosa potrebbe e dovrebbe fare ancora la Chiesa in Calabria per contribuire significativamente alla lotta contro la mafia?
Niente di diverso dall’essere coerente con i suoi pronunciamenti di condanna della mafia e, ovviamente, tradurre questa coerenza nella quotidianità dei comportamenti concreti, relativamente alla propria missione pastorale ed educativa. Purtroppo, questo non è sempre avvenuto; fino a qualche mese fa, mi è toccato assistere a sacerdoti che venivano citati dalle difese degli imputati nei maxiprocessi contro le cosche di ’ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, i quali venivano nelle udienze non a testimoniare su fatti, ma a testimoniare su patenti di “brave persone” date agli imputati, cosa che, oltre che processualmente inammissibile, non mi pare coerente con i dettami del Vangelo. Qualcosa però sta cambiando, io penso che si possa e si debba essere ottimisti, soprattutto dopo la visita del Papa in Calabria.