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Società

Giovani in attesa di futuro

Non è vero che la laurea non abbia valore. Più svantaggiati restano i meno istruiti. Lo dicono i dati “Almalaurea”

di Andrea CASAVECCHIA

8 Aprile 2013

Giovani disoccupati, giovani scoraggiati, giovani emigranti. Le statistiche periodicamente segnalano il trend di una continua “inospitabilità” del mondo del lavoro italiano verso le nuove generazioni. Gridiamo allarmati e rimaniamo paralizzati dalla giustificazione: “C’è la crisi”. Seguono lamentazioni di rito e scarica barile.

E se, invece, affrontassimo il fenomeno? Ci accorgeremmo di un mondo dinamico e non fossilizzato. Le vie dell’inserimento lavorativo sono eterogenee. È sufficiente osservare il percorso dei neo-laureati per scoprire l’impegno e la disponibilità dei giovani, oltre, purtroppo, ai casi di sfruttamento.

I dati “Almalaurea” ci dicono che dopo un anno dalla discussione della tesi il 65,8% dei laureati di primo livello è occupato, peccato che il 13% di loro lavori in nero; per i laureati “specializzati” i numeri sono addirittura peggiori: solo il 36% è occupato, e lavora in nero il 13%.

Tuttavia, possiamo smentire uno stereotipo in voga oggi: non è vero che la laurea non abbia valore per lavorare. Tra i giovani dottori la disoccupazione oscilla tra il 20% e il 22%, quella complessiva è assai più alta tra il 37% e il 38%. La questione semmai sarà un’altra: di questi giovani, sui quali le famiglie e la società italiana hanno investito risorse umane ed economiche, quanti svolgono impieghi “dequalificati”? Perché l’Italia “spreca cervelli”?

Giungiamo a un secondo aspetto dell’inserimento lavorativo giovanile. Una gran parte preferisce emigrare, secondo un sondaggio del Centro ricerche “Work in Progress”, il 64% sarebbe disponibile a emigrare e il 37% ha già inviato un curriculum ad aziende oltre confine. Così dopo averli sprecati, l’Italia perde un’altra parte di cervelli. Non sarebbe, comunque, un problema il loro trasferimento se il nostro Paese fosse in grado di valorizzare tutti i giovani che dalle altre nazioni arrivano da noi.

Quando allarghiamo la visuale prendiamo atto che la disoccupazione e l’inattività giovanile colpiscono i meno istruiti: sono poco richiesti, perdono nel confronto con i loro coetanei in un colloquio di lavoro, finiscono più facilmente per accettare contratti occasionali e a tempo, entrano nel circuito della precarietà, infine sono anche quelli meno richiesti e meno disponibili a partire verso altri Paesi.

Per loro ci sarebbero due prospettive possibili. Da un lato, il rilancio dell’apprendistato: ci sono in Italia molti mestieri da rivalutare, recuperare e reinventare sia nel mondo delle piccole e medie imprese, sia nell’artigianato che nell’agricoltura. Dall’altro lato, ci sono le nuove possibilità per incentivare l’imprenditoria giovanile.

Entrambi gli strumenti potrebbero essere delle strategie per il futuro. Non solo per garantire un lavoro ai giovani, ma per vitalizzare il mondo produttivo italiano. Però avremmo bisogno della capacità di offrire una visione di futuro per dare la possibilità alle nuove generazioni di scegliere.