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Scuola

Handicap: da due Tar sì al sostegno

Il taglio dei docenti “dedicati” ai disabili ha gravi ripercussioni sull’intera classe. Nicolì (A.Ge): «Iniziare a considerare l’istruzione non una spesa, ma un investimento»

di Luigi CRIMELLA

2 Aprile 2013

Due recenti decisioni – la prima del Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio e la seconda del Tar della Sardegna – hanno riportato l’attenzione sul diritto al sostegno scolastico in presenza di alunni portatori di handicap. Nel caso laziale, la sentenza n. 2199 del 2012, depositata il 5 marzo, ha preso in considerazione il ricorso collettivo di un gruppo di famiglie che contestavano la riduzione delle ore di sostegno a causa della carenza di personale idoneo, facendo venir meno il rapporto di 1/1, cioè di un insegnante di sostegno per ciascun bambino con handicap grave. Il Tar laziale ha deciso di accogliere le richieste delle famiglie, riferendosi a una legge del 1997 che stabilisce l’obbligo di assicurare tale integrazione nonché la possibilità di assumere insegnanti di sostegno a tempo determinato per questo specifico scopo. Il Tar della Sardegna, a sua volta, ha stabilito (sentenza n. 134/2013) che è illegittimo ridurre le ore di sostegno agli alunni disabili, con motivazioni analoghe a quelle del Tar laziale, sottolineando che «il rango di diritto fondamentale della tutela del minore disabile non consente di ammettere cause giustificative di ritardi» e anzi non riconosce «attenuanti alla colpa dell’Amministrazione scolastica» per tale inadempimento.

Di questa complessa e delicata materia e del coinvolgimento di migliaia di famiglie in questa situazione, il Sir ha intervistato Gianni Nicolì, responsabile per l’A.Ge. nazionale del sistema dell’istruzione/formazione e università ed esperto di questioni giuridiche e organizzative della scuola italiana.

Professor Nicolì, ancora una volta vengono a galla difficoltà della scuola italiana, dovute a carenza di risorse. Come valuta la situazione del “sostegno” ai disabili?
Una prima considerazione è di ordine generale. Se si toglie o riduce drasticamente l’assistenza e il sostegno ai disabili, non solo si pregiudica la possibilità di favorire la loro formazione scolastica, ma si peggiora la condizione complessiva degli alunni cosiddetti “normali”. Quindi, l’auspicio non può che essere rivolto a uno sforzo delle autorità scolastiche perché non solo si ridiano risorse di cui la scuola italiana ha tanto bisogno, ma anche che le si investano meglio puntando a una organizzazione diversa. Occorre fare investimenti sulla qualità del sistema formativo e non il contrario, altrimenti il Paese ne risente.

Nello specifico, c’è chi obietta che di fronte a una situazione del Paese così grave, i sacrifici debbono valere per tutti e quindi le famiglie dei bambini disabili debbono accettare qualche “taglio”, cioè la riduzione orario del sostegno offerto ai loro figli. Lei cosa ne pensa?
La situazione va inquadrata nello spirito delle leggi vigenti. Esse affermano che il sostegno non va dato al soggetto handicappato, ma alla classe intera dove tale scolaro o studente si trova. Nel momento, però, in cui si riduce la quota di assistenza offerta alla classe, creando “mobilità” fra i docenti interessati, di fatto i “Pei”, progetti educativi individuali, previsti per i singoli allievi che ne hanno necessità, perdono la loro efficacia. Il danno così non è solo per il ragazzo riconosciuto come portatore di handicap ma per l’intera classe, che vede indebolito il proprio percorso formativo.

Da una parte lo Stato che continua a “tagliare” risorse alla scuola, dall’altra i genitori che protestano e iniziano a fare class-action all’americana. Come se ne esce?
I singoli istituti e i loro dirigenti sanno che la “provvista” di docenti non spetta a loro ma agli uffici scolastici regionali. Non disponendo di risorse adeguate, le Regioni a loro volta fanno quello che possono e i tagli derivano da questo stato di cose. Nel mondo della scuola si sa che un ragazzo con handicap costituisce un problema ma al tempo stesso, a modo suo, “beneficia” anche i ragazzi “normali”. Infatti, dove è adeguatamente seguito il gruppo-classe procede più spedito, le acquisizioni culturali e formative sono più diffuse, i bisogni specifici di educazione sono meglio soddisfatti.

Cosa servirebbe per invertire la tendenza ai “tagli”? Semplicemente soldi in più, oppure un quadro culturale e normativo diverso?
La qualità della scuola italiana rimane alta, nonostante le diffuse difficoltà anche economiche. Non dimentichiamoci che non esistono solo gli handicap. Si calcola che una percentuale rilevante di ragazzini e ragazzine, benché considerati “normali”, in realtà avrebbero bisogno di una cura e assistenza educativa particolare. Se quindi c’è l’insegnante di sostegno, il docente titolare può dedicarsi meglio a tutti gli altri. Quindi il problema è che occorrerebbe iniziare a guardare alla scuola non come una “spesa”, ma come a un “investimento” sociale. Bisognerebbe, in una parola, tagliare su tutto ma non sulla scuola.