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Economia

Il Def non si riveli un libro dei sogni

Presentato nei giorni scorsi dal governo Renzi il Documento di economia e finanza, tra previsioni e qualche atto concreto

di Nicola SALVAGNIN

14 Aprile 2014

Un libro dei sogni, e sia detto nel tono più asettico possibile: il Documento di economia e finanza presentato nei giorni scorsi dal governo Renzi lo si può definire come il complesso di desideri che l’esecutivo intende soddisfare nel prossimo futuro. Quindi ha valore in sé come atto politico, non come tavola della legge mosaica. E il fatto che i sogni siano stati grandi (“think big”, dicono gli anglosassoni) è piaciuto ad analisti e mercati finanziari: il governo Letta è sostanzialmente morto a causa di una gestione micragnosa del sistema-Italia.

Ma sogni sono. Al capitolo primo – “Quanto ci piacerebbe che andasse così” – si parla del Pil. Ovviamente in crescita, ma più di quanto tutti stimino: per Renzi&C., dello 0,8% in questo 2014, quando i più ottimisti si fermano allo 0,6. Il quasi 2% previsto nel 2018 è giusto un sogno, il governo non sa nemmeno quale sarà il Pil finale di questo anno che comunque dovrebbe portarci fuori dalla crisi.

Quindi si passa al capitolo “Che sia la volta buona?”, quando si parla di razionalizzare la spesa pubblica, sopprimere gli enti inutili, tagliare sprechi e privilegi, valorizzare il patrimonio pubblico, riordinare i centri di spesa… Aggiungiamoci la lotta all’evasione fiscale, che si porta sempre bene, e a noi non resta che augurare in bocca al lupo. Non c’è governo che non si sia proposto di far ciò (e ci divertirebbe un mondo vedere un esecutivo promettere di allargare gli sprechi, svilire il patrimonio pubblico e ringraziare gli evasori), ma la speranza è sempre l’ultima a morire.

Ma il librone dei sogni si completa anche di qualche atto concreto, non fosse che per evitare di essere scambiato per un libro di favole. Le tasse, ad esempio: crescono e calano. Di solito il tutto si esauriva nella prima azione. Questa volta abbiamo due sicurezze: sforbiciata all’Irpef sui redditi medio-bassi (alcune decine di euro in più in tasca ogni mese), aumento delle imposte sulle rendite finanziarie, che passano – titoli di Stato esclusi – dal 20 al 26%. Cioè il 30% in più di prima… Sull’opportunità, le scuole di pensiero si dividono: chi dice che è giusto così, più tasse sulle rendite e meno sui redditi da lavoro; e chi paventa l’eccessiva pressione fiscale sulle prime, tra ritenute, Tobin tax e mini-patrimoniali. C’è però da dire che il Governo ha (contraddittoriamente?) già abbassato la tassazione degli affitti in modo drastico. E la vera speranza è che dal Jobs Act arrivino più posti di lavoro, più redditi, più consumi, insomma più ripresa economica.

Infine il capitolo “Coperture”, cioè dove si tocca, si taglia, si cambia. Queste sono pagine bianche che hanno tante trame possibili, ma nessuna certa, già scritta e completa. Perché il capitolo delle coperture di spesa si associa sempre all’appendice “Dolori”. Nessun pasto è gratis, dicono sempre gli anglosassoni che quanto a pragmatismo… Quindi se il piatto di qualcuno sarà più pieno – o meno vuoto -, si dovrà svuotare il piatto di qualcun altro. Il miracolo del piatto pieno per tutti non è più possibile perché non solo non possiamo più fare ulteriori debiti, ma dobbiamo pure restituire 50 miliardi di euro dal 2015 e per ogni anno successivo.

Quindi caro Renzi: facci sognare. Non incubi, please.