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Economia

La crisi continua, difficile vederne la fine

Per duecento anni gli europei sono stati il motore dello sviluppo umano, ma ora sono ridotti al ruolo di forti consumatori di prodotti altrui

di Nicola SALVAGNIN

23 Aprile 2012

C’è da stare tranquilli? O prepariamo i fazzoletti? Non si sa più a chi dare bado, una volta sfogliati i giornali o sentiti i tiggì. Va male ma andrà meglio? Oppure va male ma in futuro sarà ancora peggio?

Non riportiamo discorsi da bar sport, ma riflessioni che vengono da autorevoli e serie fonti; la Banca d’Italia e il Fondo monetario internazionale. La prima ha ben presente la gravità della situazione, ma loda gli sforzi attuati dal governo Monti e indica come giusta la strada del risanamento intrapreso. Il secondo ci ha recentemente gelati: la nostra economia è in recessione, i conti ancora in squilibrio e lo saranno per anni. Significa che continuiamo a spendere più di quanto incassiamo, quindi ingrassiamo un debito pubblico che andrebbe ridimensionato.

C’è da dire che entrambe le fonti, pur autorevolissime, non sono… fonte di verità incontrovertibile. Bankitalia non è solo numeri e statistiche, ma anche il braccio finanziario di un Paese, il nostro. E da tempo esercita una moral suasion sulla politica e i cittadini. Monti è la risposta, per Bankitalia e per chi volle, fortissimamente volle Monti alla guida del Paese: Mario Draghi, ex presidente ora alla guida della più potente Bce.

Il Fondo monetario, invece, è altrettanto serio e autorevole, ma da tempo cerca di intrufolarsi dentro le dinamiche dell’euro e dei debiti pubblici europei. Pronto a tirare fuori soldi se l’eurozona ne avesse bisogno. Ma non si fa mai nulla per nulla. Quando l’Fmi sgancia, allega ai soldi il libretto delle istruzioni: dovete fare così e cosà. Basta chiedere informazioni ai Paesi del Secondo e Terzo mondo beneficiari di fondi Fmi. Chiaro che questa influenza non è per nulla gradita da chi comanda in Europa, cioè dalla Bce, cioè dai tedeschi.

Ma alla fine della fiera – si dirà il cittadino-lettore italiano – siamo di fronte ad un lungo tunnel, o alla luce che s’intravvede in fondo?

Siamo di fronte alla terra del non-lo-so. Non è una crisi economica qualunque. Lo sanno e lo dicono ormai tutti. Non una di quelle cose che manda un po’ tutto giù, quindi segue una più o meno rapida ripresa. Lo scoppio di una bolla borsistica, l’impennata del petrolio, una guerra…

No, siamo di fronte a qualcosa di estremamente più complesso e complicato. Il 2012 rappresenta ormai il quinto anno d’immersione in questa situazione che i più davano per risolta tra il 2010 e il 2011. Non ci si aspetta un granché dal 2013, e ormai si parla apertamente di previsioni che interessano il… 2017.

Ma la sensazione è che molte cose, e molto grandi stiano cambiando. E nulla sarà più come prima. La crisi finanziaria del 2008 ha raccontato al mondo che nessun piatto di minestra è gratis, che la crescita economica continua era solo finta, determinata dalla carta finanziaria ma non da ricchezza reale. Ha raccontato che l’Occidente impigrito e un po’ impoverito dalle bollette petrolifere prima, dalla delocalizzazione delle sue fabbriche dopo, non può più reggere condizioni di vita splendide e finanziate a debito. Viviamo da pascià (chiedete conferma a un etiope) ma con i soldi altrui. Dobbiamo cominciare a restituirli, e questa volta a fondi arabi, banche cinesi, finanzieri brasiliani. Soldi che non abbiamo.

Dovremo quindi farne, di soldi. Già, ma come? (e qui s’innesca lo stucchevole mantra della “crescita economica”). Viviamo ormai di terziario, di servizi. Le fabbriche stanno altrove, i proprietari delle stesse hanno cambiato di mano nel corso di questi anni e ora abitano a Mumbai, nel Qatar, a Singapore. L’agricoltura vive di sussidi. L’innovazione non abita più in Europa, ma si è stabilmente insediata negli Usa o in Corea, da dove escono applicazioni internet, tablet pc, social networks, smart tivù.

Per duecento anni noi europei siamo stati il motore dello sviluppo umano (treni, auto, medicine…). Poi il tutto s’è spostato oltreoceano (telefono, computer, televisione, aerei) e ora lo sviluppo si rimpalla tra le due sponde dell’oceano: quello Pacifico.

Noi europei, noi italiani siamo ormai ridotti al ruolo di forti consumatori di prodotti altrui, che vivono nella parte più interessante, tranquilla e ricca di storia e bellezze del mondo. Stop. Secondo voi, il decorso della storia mondiale si può cambiare con un decreto legge di Mario Monti?

Ma i decreti legge montani possono e devono rendere questo Paese meglio gestito, più sicuro, più accogliente per il lavoro, più bello e funzionale. Quindi il bicchiere mezzo vuoto dell’Fmi non è inventato, ma la speranza che suscitano le parole di Bankitalia non è del tutto infondata. Basta solo che tutti siano consapevoli che la ricreazione dell’ultimo ventennio è finita, e può darsi che non ce ne saranno più di così belle e lunghe.