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Esteri

La morte di Bin Laden: non gioia, ma riflessione

L’uccisione a quasi 10 anni dalle Torri Gemelle

di Francesco BONINI

2 Maggio 2011

Da quasi dieci anni, dal 17 settembre 2001, Osama Bin Laden era ricercato su ordine del presidente degli Stati Uniti: Wanted: Dead or Alive. La notizia della sua uccisione per diversi aspetti chiude un decennio di guerre seguite all’attentato delle Torri Gemelle dell’11 settembre. Guerre che però, a partire da quella in Afghanistan, sono ancora in corso, anzi, in fase di recrudescenza.
L’ultima volta che si era fatto vivo, con uno dei messaggi che hanno costellato dieci anni di latitanza e di regia del terrore, è stato nello scorso gennaio, a proposito di una presa di ostaggi francesi in Niger. Tuttavia già da qualche mese i cambiamenti in atto in Nord Africa e più ampiamente nel Medio Oriente portavano a interrogarsi su un possibile cambiamento di scenario nella regione rispetto al quadro che risale alla fine del secolo scorso e ai primi anni Duemila.
La morte di Osama Bin Laden, nato nel 1957 da un miliardario saudita, fondatore di Al Qaeda nel 1988 e subito impegnato nella guerra in Afghanistan contro l’occupazione sovietica, conclude per diversi aspetti una fase della politica internazionale, quella che si è aperta con la prima guerra del Golfo, nel 1991, in occasione della quale passa alla latitanza. Può essere l’occasione per aprire una riflessione seria e profonda, prospettica e responsabile, sui nuovi assetti della regione che va dal Nord Africa al Pakistan. Senza l’assillo del leader e del simbolo del terrorismo, è sicuramente più agevole impostare questa necessaria riflessione. Ma non è meno urgente. Senza dover guardare troppo lontano, in Afghanistan, dove pure ci sono 3.770 militari italiani, e dalle parti di Abbottabad, le vicende della Libia, a due passi da casa nostra, ce lo ricordano con drammatica urgenza.
Mentre il commando americano attaccava la residenza fortificata di Abbottabad, non lontano da una base dell’esercito pakistano, si era da poco conclusa la grandiosa cerimonia di beatificazione di un gigante del bene, Giovanni Paolo II, che aveva levato l’indimenticabile grido: «Mai più la guerra!». Il direttore della sala stampa vaticana, interrogato dai giornalisti, ha ricordato «la gravissima responsabilità» del terrorista saudita «di diffondere divisione e odio fra i popoli e di strumentalizzare le religioni a questo fine». Ed ha aggiunto: «Di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai, ma riflette sulle gravi responsabilità di ognuno davanti a Dio e agli uomini, e spera e si impegna perché ogni evento non sia occasione per una crescita ulteriore dell’odio, ma della pace». Questo è il punto e questa è la prospettiva su cui tutti devono mettersi al lavoro, con sempre maggiore convinzione. E da oggi con rinnovata lena.