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Crisi e ripresa

Le parole non bastano più è il tempo della concretezza

La debolezza del quadro della politica e dell’economia euro-occidentale, ossessionato dal breve periodo, chiede risposte di più ampio respiro per uscire dallo stallo in cui ci troviamo

30 Agosto 2011

C’era una volta, a settembre, la cosiddetta ripresa delle attività. Piano piano, con movimenti felpati, ci si metteva al lavoro, cominciando ad affrontare le questioni rinviate a dopo le vacanze. Oggi i fronti della politica, dell’economia e della finanza sono sempre aperti. Anche in Italia. Con la consapevolezza che, tanto nel quadro europeo, che in quello “globalizzato”, il nostro paese deve percorrere due linee parallele: giocare il gioco collettivo, con i suoi vincoli, e nello stesso tempo essere in grado di sviluppare e tenere una linea, così da dare, a questo gioco collettivo, il contributo che pure compete ad uno dei G7 e G20, se queste sigle ancora possono indicare qualcosa.
Le analisi più intelligenti sono unanimi nel sottolineare la debolezza del complessivo quadro della politica e dell’economia euro-occidentale, ossessionato dal breve o brevissimo periodo. Di qui l’assenza di visione e la rincorsa delle emergenze, che produce un complessivo effetto depressivo, sui mercati, ma anche sullo spirito pubblico. È il classico sistema della retro-alimentazione: la depressione produce effetti depressivi, che la amplificano. In questo quadro la speculazione morde e prospera, proprio perché il suo tempo è il presente immediato.
I tecnici sono al lavoro nel merito dei problemi economico-finanziari, così come sul versante della riforma costituzionale. La giustizia fiscale – che significa famiglia e lotta all’evasione – sta finalmente diventando un impegno prioritario, una pre-condizione necessaria per la credibilità del sistema. È però il momento di agire. Le parole non bastano più. Allo stesso modo è necessaria l’efficienza e la responsabilità nella spesa pubblica, a tutti i livelli, così da assicurare un rendimento adeguato delle istituzioni.
Occorre agire: l’unica cosa certa è che lo statu quo altro non nasconde che un processo di decadenza, caratterizzato dall’aumento delle diseguaglianze e dunque dei privilegi di singoli o categorie e da un senso di sfiducia, quando non di paura.
Accanto alle misure concrete ed operative, che non si possono procrastinare, occorre però agire anche sul senso di stallo che si avverte. Se ne può uscire, in modo positivo, su due prospettive.
La prima è la moralità, che non ha nulla a che fare con il moralismo che affligge un dibattito pubblico da troppo tempo autoreferenziale. Moralità fa rima con libertà e dunque con giustizia e verità. È il tempo di idee chiare e di concretezza di comportamenti. La seconda è l’investimento: significa scommettere sul lavoro, premiare davvero il merito e l’impegno, prima di tutto dei giovani. Nei prossimi anni ci misureremo con un quadro demografico ed euro-mediterraneo in cui saranno esplicite le conseguenze dei cambiamenti avvenuti in questi anni, senza che ce ne accorgessimo.
Ha ragione chi sostiene che ci sono molte risorse nella nostra società nell’età della crisi. Sarebbe colpevole continuare a mortificarle.