Sirio 26-29 marzo 2024
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Economia

Meno Regioni, meno spesa?

Non hanno una vera e totale autonomia fiscale e operativa; ma ne hanno abbastanza per moltiplicare le burocrazie, gli sprechi, le inutilità

di Nicola SALVAGNIN

9 Giugno 2014
WCENTER 0XFFBIQBMG                20050518 - ROMA - POL - REGIONI: LAZIO; PRIMO CONSIGLIO REGIONALE CON POLEMICA. UDC CHIEDE DIBATTITO SU RELAZIONE MARRAZZO MA SEDUTA VIENE TOLTA. Una veduta dell'aula dove si è svolta la prima seduta del consiglio regionale del Lazio, oggi a Roma. La seduta è terminata con una polemica. Il neopresidente dell' assemblea, Massimo Pineschi, dopo le comunicazioni del presidente della Regione,  Piero Marrazzo, ha invitato tutti i consiglieri a partecipare al buffet, chiudendo cosi' la seduta. Dai banchi dell' opposizione il neocapogruppo dell' Udc, Luciano Ciocchetti, ha invece chiesto di poter aprire il  dibattito sulla relazione del presidente. Pineschi, tuttavia, facendo notare che non era previsto nell' ordine dei lavori il dibattito, che prevedevano solo le comunicazioni del presidente, ha chiuso la seduta convocando la conferenza dei capigruppo per fissare la data della prossima riunione del consiglio regionale. ALESSANDRO DI MEO - ANSA - KRZ

Spiace dirlo, ma gli Stati in Italia sono 21, anzi 22: a quello centrale si aggiungano 19 Regioni più due Province autonome. Salvo eccezioni, tutti spendono e (spesso) spandono senza grandi criteri né controlli. Perché le Regioni italiane sono diventate delle piccole Repubbliche indipendenti che non devono rendere conto a nessuno di come utilizzano – o sperperano – il denaro pubblico.

La sanità pubblica è prerogativa regionale: il fatto che sia fuori controllo a Roma come a Palermo o Reggio Calabria; che gli appalti non siano unificati ma ognuno spenda per una siringa quanto gli pare o piace; che vi siano realtà ostili con gli operatori privati, altre collaboranti e alcune addirittura arrendevoli (le strutture accreditate alla Regione Sicilia hanno un che di fantascientifico) danno il senso dell’anarchia anzitutto contabile di un settore che si divora più di 100 miliardi di euro dal bilancio pubblico. Lasciamo poi stare la qualità del servizio offerto, a macchia di leopardo; un vizio che origina addirittura dalle facoltà di Medicina, alcune ambitissime e altre schivate come la morte.

Non lasciamo stare invece il discorso che mille centri di spesa producono diecimila “tentazioni” e possibilità di soddisfarle. Le cronache di questi mesi raccontano come il malaffare, la pratica tangentizia, l’aggiramento delle regole siano diventate pratica comune a Nord come a Sud: non si salva nessuno, dalle segretarie dei dirigenti regionali fino addirittura ai presidenti di Regione. Non è un caso che molte Regioni si siano inventate degli enti partecipati, delle finanziarie, delle strutture esterne che moltiplicano prebende, affari, acquisti e, purtroppo, altro ancora.

Così, le Regioni sono a metà del guado: non hanno una vera e totale autonomia fiscale e operativa; ma ne hanno abbastanza per moltiplicare le burocrazie, gli sprechi, i doppioni, le inutilità. Cosa servono, a questo punto? E il servizio che danno, è in qualche modo commisurato alla quantità di denaro che maneggiano?

In questi ultimi anni si è individuato nelle Province il cancro da estirpare. È come prendersela con Cucciolo mentre gli altri sei nani ne combinano di tutti i colori. Un multicolor che prima o poi – meglio prima che poi – andrà rivisto, perché l’autonomia concessa nel 1970 alle Regioni si è trasformata in un’autonomia dai controlli dello Stato, dei cittadini.

O si spinge l’acceleratore, si dà piena autonomia fiscale, si aumentano le competenze e di creano valide strutture di controllo (magari riducendo il numero delle Regioni come sta facendo Hollande nell’iperconservatrice Francia); o è meglio tornare ad un ministro delle Finanze che sappia con chiarezza di quanti soldi dispone, di come si spendono, di quali risultati si ottengono.

Oggi, in mezzo a quel guado non naufraga solo una classe politica, ma un intero Paese che si sta rassegnando al declino, alla gestione di quel che c’è, finché c’è. Sperando che l’ennesima locomotiva straniera ci trascini fuori e ci porti da qualche parte, secondo il nostro antico motto: Franza o Spagna, purché se magna.