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Economia

Per la ripresa i decreti non bastano

Sono indispensabili, ma si dovrebbe anche produrre, distribuire e consumare in modo diverso

di Nicola SALVAGNIN

4 Settembre 2012
TARANTO CIMINIERE DELLA ILVA

Ci stiamo accorgendo, in definitiva, che l’Italia è stata per un buon decennio nella posizione del gigante bloccato nelle sabbie mobili, capace di sprofondare assai lentamente "grazie" ad una più o meno corretta politica di ordinaria gestione delle cose – un tirare a campare, diciamo -, incapace però di uscire da quell’immobilismo che ne pregiudica, nel lungo periodo, il futuro. Prima o poi sarebbe arrivato qualcuno o qualcosa in grado di tirarci fuori di lì, o non è vero che noi italiani diamo il meglio quando stiamo peggio?

Insomma, abbiamo fatto poco o nulla per cambiare, per troppo tempo. Lo avvertiamo con nitidezza, quasi con spavento ora che vediamo all’opera un governo dell’emergenza, gente che sta lì proprio con l’intento di tirarci fuori da quel pantano che, tutto d’un colpo un anno fa, ha iniziato a risucchiarci voracemente in giù.

L’attivismo dell’esecutivo Monti è quasi frenetico, eppure sembra non bastare mai. Sono stati esaminati, approvati e anche scartati decine di provvedimenti; sono state adottate riforme delle pensioni e del lavoro pesanti o annose; si è data la stura ad una serie di decisioni atte a liberalizzare il mercato italiano, oltre a diverse nuove tassazioni dettate dall’urgenza di fare cassa.

Se ora l’impegno appare soprattutto quello di trasformare leggi e decreti in atti amministrativi, regolamenti, decisioni che concretizzino ciò che adesso sta solo sulla carta, Monti intende fornire ulteriore benzina al motore dello sviluppo economico. Che non si riaccende.

Lasciamo perdere i mercati finanziari e il famoso spread tra Btp italiani e Bund tedeschi: riflette il solido dubbio che noi italiani continueremo a comportarci da… italiani. E cioè che, appena possibile, torneremo a vivere in un presente senza futuro e senza i mezzi per permettercelo. Sta a noi smentire questi malfidenti.

La questione più ampia riguarda il ciclo economico. Un cane che si morde la coda. I consumi calano perché le cose vanno male, così si vende di meno e si produce di meno. Tutto ciò porta ad un ulteriore peggioramento della situazione in una spirale di cui non si sa come invertire l’andamento. In simili casi (Usa degli anni Trenta, Usa post 2008) si è provato con la benzina della spesa pubblica che a noi è assolutamente preclusa; oppure (Giappone degli anni Novanta, zona Euro e Usa oggi) abbassando il costo del denaro verso lo zero, in modo tale da farlo scorrere quasi gratuitamente nelle vene delle economie interessate.

Nulla ci sta aiutando. Quindi, nel suo piccolo, Monti le sta provando tutte nel solco di quelle dinamiche economiche (sviluppo-recessione) che rispettiamo da decenni. Forse bisognerebbe cambiare tutto, il capitalismo finanziario della nostra recente storia ha limiti quasi mortali nel momento in cui perde colpi. Si dovrebbe produrre-distribuire-consumare in modo diverso.

Ma questo è un discorso di enorme portata che certamente non può essere oggetto di un decreto legge governativo. Nel frattempo a Monti il compito di portare a termine nei prossimi mesi quanto può e deve fare: un miglioramento della spesa pubblica e del funzionamento della pubblica amministrazione; l’abbattimento di dannose rendite di posizione; il cambiamento delle regole del lavoro e della giustizia; il corretto incentivo ad ogni iniziativa che possa portare a nuovi posti di lavoro e a nuova ricchezza. Se quattro soldi (pubblici) ci sono, siano completamente investiti nella cultura e nel turismo, giacimenti capaci di creare rapidamente occasioni di lavoro in un’Italia straricca di bellezza e di storia.

Qui c’è gente, e non poca, alla disperazione per la mancanza di un’occupazione o per la prospettiva di perderla. Quindi buone idee e buone leggi, lasciando tra le futilità estive i dibattiti sull’eticità della tassazione delle bibite gassate.