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Milano

Scola: «Dobbiamo fare tutti un salto di qualità nella conoscenza reciproca»

Il cardinale Scola, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è intervenuto al Convegno conclusivo del Progetto di ricerca, “Conoscere il meticciato, governare il cambiamento”, promosso dalla Fondazione Internazionale Oasis, sul tema, “Confini che cambiano. Europa e Islam dopo gli attentati di Parigi”. Dall’Arcivescovo e da tutti gli altri qualificati relatori dell’incontro, il richiamo a leggere la crisi attuale con consapevolezza e conoscenze adeguate

di Annamaria BRACCINI

27 Novembre 2015

«Oggi non viviamo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento di epoca. Capiamo che un tempo è finito, ma alla domanda “e adesso?” siamo piuttosto muti nella risposta. Occorre, invece, interpretare i segni che indicano dove stiamo andando. Abbiamo sentito tante parole – specie dopo i fatti terribili di queste settimane – , tentato molte analisi, ma se non arriviamo a mettere in gioco noi stessi, non servirà a nulla». 
Il cardinale Scola si rivolge così ai moltissimi giovani universitari, che partecipano, in “Cattolica”, all’incontro conclusivo del Progetto di ricerca “Conoscere il meticciato, governare il cambiamento”, promosso dalla Fondazione Internazionale Oasis, fondata e presieduta da Cardinale stesso, e dalla Fondazione Cariplo. 
L’interesse è forte, i giovani affollano anche una vicina aula, collegata in video, e seguono il dibattito a più voci che è di alto e qualificato profilo accademico e, ovviamente, di stringente attualità. Si parla, infatti, di “Confini che cambiano. Europa e Islam dopo gli attentati di Parigi”.
Modera il Tavolo dei relatori, a cui siedono studiosi noti a livello internazionale,  Andrea Pin, coordinatore del gruppo di ricerca «Idea di Europa e mondo musulmano», il progetto che, avviato nel 2014, ha riunito quindici giovani ricercatori per comprendere e cercare di orientare il cambiamento in atto nelle nostre società plurali. Tra secolarizzazione, domanda antropologica e nuove forme di religiosità; fondamentalismo e violenza; media, religioni e comunicazione; libertà religiosa e di espressione; dialogo islamocristiano, l’orizzonte delle questioni è ampio e complesso. Ma, forse, meno indagato di quello che si crede, tanto che l’Arcivescovo nota: «Noi europei siamo molto lontani dall’avere coscienza che ciò che accade non è un elemento esteriore alla nostra vita. Continuiamo a rimanere in una forma di “nichilismo gaio”, incosciente che non ha mai voluto conoscere veramente l’Islam».
Al contrario, dobbiamo fare tutti “un salto di qualità” per capire «se ciò che ci aspetta sta dentro un disegno» che ci precede, suggerisce Scola, che proprio a tale fine ha creato quindici anni fa, Oasis.  
«Noi occidentali, segnati dall’imponente cultura cristiana, anche se in caduta vertiginosa, siamo, cioè, ancora convinti che esista un disegno buono nella storia perché c’è un Padre che la conduce?. Se è così, cerchiamo di scoprire questo disegno attraverso le circostanze e i rapporti di ogni giorno, mentre se non ne siamo più convinti la speranza si chiude. Questo è il punto su cui si gioca la questione». 
«Tutto questo ha un’implicazione importante  – scandisce il Cardinale, evidenziando l’importanza della formazione universitaria – su cui sarebbe stato bello se l’Europa fosse stata decisa negli ultimi settant’anni: tenere unito il rapporto il rapporto tra libertà e verità. Scindere tale binomio è un assurdo». 
«C’è oggettivamente un ritardo storico nella produzione delle conoscenze che interessa i Paesi del sud del Mediterraneo. Questo gap spiega perché essi siano come “rattrappiti” al confronto di zone del sud Italia o di Spagna, che pure si affacciano sullo stesso orizzonte, ma che si sono integrate. Purtroppo oggi l’interesse per la mondializzazione e la finanziarizzazione immediata comprime la riflessione e lo sviluppo. La responsabilità è certo dei Paesi del nord Africa e del Medio Oriente, ma anche dell’Europa e dell’America che ha una politica imperialistica per cui l’obiettivo è spesso contraddittorio e non  chiaro», osserva Abdelmajid Charfi, già preside della Facoltà di Scienze umane dell’Università La Manouba di Tunisi.  
Accanto a lui, il rettore dell’Università Cattolica, Franco Anelli, che riflette: «L’idea che la sicurezza sta nella conoscenza intesa come consapevolezza è ormai chiara. “Confini che ci cambiano”: ma i confini ci sono ancora? E cosa è il confine, una barriera che divide due nemici ostili o una linea che avvicina due vicini amici? I confini non arginano le migrazioni, ma le invasioni, dunque, tendendo a ricostituirli, il problema si aggrava, anche perché, come diceva Goëthe già due secoli fa, Oriente e Occidente “più non si possono separare”». 
Ne è convinto anche Henry Laurens del Collège de France di Parigi: «Ricordiamoci che l’Islam fa parte della cultura europea, con una storia di rapporti lunga quattordici secoli. La realtà è che, oggi, abbiamo un mondo arabo che, comunque, è in crisi profonda, nella guerra che contrappone Sciiti e Sunniti. La crisi, tuttavia, è anche in Europa, in cui ogni singolo Paese, per la sua storia, risponde a modo proprio al jihadismo, giocando spesso  la carta dell’islamofobia». 
Riccardo Redaelli docente di Geopolitica in “Cattolica”, da parte sua, dice: «Occorre andare oltre la commozione, comprendendo cosa stia mutando nell’orizzonte del Medio Oriente, anche perché tutte le “bussole” mediorientali si sono ormai smagnetizzate. Pur essendo sempre stata un’area instabile, la zona è oggi in un momento di frammentazione profondissima e forse inedita. Dalla deriva settaria tra Sciiti e Sunniti, ma soprattutto tra arabi Sciiti e arabi Sanniti e dalla grande rivalità tra Arabia Saudita e Iran, nasce l’incoerenza di una prospettiva strategica e il fallimento dell’Islam politico. Vi è, poi, l’incapacità dell’Europa di parlare con un’unica voce».  
Una situazione da sempre complessa e, ormai, drammatica, che ha oggettivamente favorito – per Redaelli – «l’emergere il Daesh, che, non caso, esercita attrazione anche su cittadini europei. Un appeal che usa il terrore come brand mediatico». 
Un jihadismo “2.0”, come lo definisce il Docente, «che ha invertito la dinamica dello jihadismo classico, ammazzando anche musulmani e, in specie, Sciiti. È una guerra geopolitica che viene rivestita a livello identitario e sappiamo tutti che, se un conflitto diventa tale, è assai più difficile fermare la radicalità della contrapposizione, come abbiamo visto a Sarajevo. Ciò coinvolge anche l’Europa, non solo con gli attentati che suscitano reazioni molto forti, ma non so se sufficientemente pensate. Non dimentichiamo che l’islamofobia è perfettamente funzionale all’Islam estremista, Abbiamo bisogno di una bussola cognitiva e di fare chiarezza su come guardiamo il Medio Oriente, perché la distinzione “noi-loro”, è errata in quanto totalmente astratta, fuori dalla storia e dal presente. Avendo espunto il concetto di speranza collettiva, ci siamo chiusi in un individualismo di becero soddisfacimento personale». 
Insomma, tra «arretramento, crisi, mancanza di bussola, individualismo e terrore», ciò che causa di tanti mali e pare mancare in profondo è quel concetto di speranza concreta e affidabile, sul quale torna in conclusione, il Cardinale. 
«La speranza ci dà dignità e questo dovrebbe avere delle ricadute. L’amicizia civica viene dal fatto che dobbiamo vivere insieme e richiede il confronto reciproco. Leggete, ragazzi,  il Vangelo di Marco e capirete che dono sia la speranza». 

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