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Vaticano

Scuola: sì, è una storia d’amore

Il Papa agli operatori del settore riuniti da tutta Italia per la grande festa in piazza San Pietro: si impara a imparare attraverso la relazione

di Alberto CAMPOLEONI

12 Maggio 2014
Pope Francis greets the crowd as he arrives for an audience with Catholic schools at St Peter's square on  May 10, 2014 at the Vatican.  AFP PHOTO / ANDREAS SOLARO

«Se uno ha imparato a imparare, questo gli rimane per sempre». È una delle suggestioni, tra le tantissime, venuta da papa Francesco, nella festa per la scuola che ha riempito piazza San Pietro e non solo. Forse la più “tecnica”, perché entra nel merito proprio del principale “meccanismo” scolastico, che è proprio quello di avviare processi di apprendimento e, prima ancora, di promuovere l’attitudine all’apprendimento: imparare a imparare, appunto.

Questo avviene a scuola (che peraltro, come è evidente a tutti, non è l’unico “luogo dell’apprendimento”, ma certamente ne è in qualche modo il “luogo privilegiato”). L’apprendimento non è un processo asettico, né tantomeno automatico. E qui è ancora papa Francesco che, con la semplicità che gli è connaturale, aiuta a comprendere. Lo fa ricordando la sua maestra, quella che – ha raccontato – a 6 anni lo ha preso per mano e della quale non si è mai dimenticato.

Ecco, il meccanismo dell’apprendimento, quello significativo, cioè capace di cambiare la vita (e non sembri un’esagerazione), si scatena grazie all’incontro, alla capacità di entrare in relazione, a quello che diremmo un “moto del cuore”. Qui sta il segreto della scuola, che si può ritrovare in molte altre espressioni, a cominciare dal quel «we care» mutuato da don Milani, che ha fatto da filo conduttore all’incontro romano. Un “moto del cuore” – si permetta ancora una volta l’espressione – che nella scuola non è lasciato al caso, ma diventa pianificato, consapevole, intelligentemente cercato e promosso.

Cosa vuol dire? L’apprendimento è qualcosa di estremamente personale, che muove anzitutto da una motivazione interiore. E scatenare questa è il segreto di una buona scuola, è ciò che avviene principalmente attraverso il gioco delle relazioni, grazie al “prendersi cura” reciproco dei protagonisti della scuola, collocandosi nel contesto più ampio dell’educazione, la quale, una volta di più, è accompagnamento e promozione – consapevole, strategicamente pensata – del vero e del bello. Perché non c’è via di mezzo – e lo ha detto ancora Papa Francesco – «l’educazione non può essere neutra: o è positiva o è negativa, o arricchisce o impoverisce, o fa crescere la persona o la deprime».

Ecco, allora, il cuore della questione. La scuola fa il suo mestiere quando si prende cura delle persone, se ne assume la responsabilità. E si delinea un compito, in particolare per gli insegnanti, “da far tremare i polsi”. Farsi carico, prendersi cura, mirare al bene, al vero, al bello. E tutto questo con la consapevolezza di non essere altro che degli “accompagnatori”, dei promotori, dei facilitatori. Perché l’altro, il più piccolo, l’allievo, deve camminare da sé. Non lo si può trascinare, ma va messo in moto, in grado di conquistare autonomia, sicurezza, in un processo che si autoalimenta. Così la maestra del Papa, per restare alla semplicità ed efficacia dell’esempio: «Lei mi ha fatto amare la scuola – ha ricordato Francesco -. Amo la scuola perché quella donna mi ha insegnato ad amarla».

Imparare ad imparare, prendersi cura, camminare insieme. È una storia di amore, quella della scuola. E dall’incontro in San Pietro viene l’invito a perpetuarla, nelle fatiche quotidiane, con rinnovato entusiasmo da parte di ogni protagonista. Senza dimenticare anche le responsabilità – politiche – di chi deve creare le condizioni perché questo fantastico laboratorio di umanità possa funzionare al meglio.