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Reportage

Tra le “villas miserias”
frequentate da Bergoglio

Nel corso di un recente viaggio in Argentina, alcune aderenti e simpatizzanti all’Azione Cattolica di Morbegno hanno vissuto una toccante esperienza nei barrios cari a papa Francesco

di Silvio MENGOTTO Foto di Elena Paltrinieri

4 Febbraio 2014

Un gruppo di aderenti e simpatizzanti all’Azione Cattolica di Morbegno (Sondrio), accompagnate da don Diego Fognini, hanno recentemente vissuto una toccante esperienza tra le villas miserias di Buenos Aires. «Da quando ero ragazza desideravo andare in Argentina – spiega Elena Paltrinieri, una di loro, iscritta all’Ac fin da giovanissima -. C’erano stati i miei bisnonni e io ho letto molto sulla storia di quel Paese, in particolare sui desaparecidos. Volevo vedere fisicamente i luoghi e possibilmente incontrare una madre di Plaza de Mayo. A motivarmi, non da ultimo, c’era anche l’elezione di papa Francesco».Un desiderio di entrare in contatto col Sud del mondo che Elena coltiva da tempo: tra le sue esperienze, campi di lavoro in Africa, Romania e Palestina.

Stimolata dalle parole del Pontefice – «la Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e a dirigersi verso le periferie non solo geografiche, ma anche esistenziali» -, col suo gruppo Elena è partita alla volta di Buenos Aires e delle villas miserias. Un termine non traducibile con “baraccopoli”, perché si tratta di un insediamento informale di case precarie. Sono quartieri malfamati, con un alto tasso di criminalità e diffusione di alcol e droga: in particolare il paco, fatto con avanzi tossici del processo di produzione della cocaina. «È la droga dei poveri, più devastante della cocaina normale – precisa Elena -. Costa pochissimo ed è molto diffusa in Argentina, dal cui confine passa la droga destinata in Europa. I bambini iniziano a usarla a 6/7 anni, fumandola nella pipa, e questa sostanza brucia letteralmente il cervello».

Nel loro viaggio Elena e le sue amiche hanno trovato due straordinari accompagnatori: padre Jose Maria “Pepe” di Paola e monsignor Joaquin Mariano Sucunza, già stretto collaboratore di Bergoglio. Insieme all’ex Arcivescovo i due hanno dato vita all’azione pastorale nei riguardi dei poveri delle periferie. «Padre “Pepe” di Paola è un uomo di Dio che fa molto bene all’anima e alla mia vita spirituale», diceva Bergoglio.

Don Pepe ha loro confidato: «Mi rallegra molto che alcuni insegnanti delle nostre scuole professionali sono ex allievi: all’inizio pochi avrebbero scommesso che sarebbe stato possibile, ma è andata così. Oggi molti operatori dei nostri centri di recupero per tossicodipendenti sono giovani della villa, in alcuni casi ex tossicodipendenti. Il successo dei centri dipende da loro più che da chiunque altro».

L’incontro personale con lui non ha lasciato indifferente Elena. «”Pepe” mi ha colpito per il suo coraggio e la sua coerenza – dice  -. Per molti anni ha vissuto nella villa 21. Ha deciso di restare in quella situazione e di denunciare il narcotraffico, le situazioni di ingiustizia e disagio: per questo è anche stato minacciato di morte. Vive in una baracca di legno, povero tra i poveri: il suo modello è San Francesco. Incarna un tipo di Chiesa, di fede, di cristianesimo a cui uno aspira, magari senza fare scelte così radicali. Ha saputo usare la televisione per far conoscere questa realtà e denunciare lo sfruttamento dei bambini e le persone distrutte dalla droga».