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Torino

Un dibattito ricco e multiforme
Ed è emersa la voce dei giovani

Molte le idee evidenziate. Perché si traducano in fatti ci vogliono persone che abbiano il coraggio di abbandonare gli abiti del passato, per costruire progetti di futuro

di Martino INCARBONE

22 Settembre 2013
Un momento della 47° Settimana sociale dei cattolici italiani del 2013 a Torino
(Ph: Cristian Gennari/Siciliani)

Dalla Settimana Sociale dei cattolici a Torino è certamente emerso lo straordinario patrimonio culturale di cui il mondo cattolico è portatore e generatore. Otto sessioni tematiche, che hanno affrontato in lungo e in largo tutte le dimensioni sociali in cui è coinvolta la famiglia: dalla scuola alle migrazioni, dalla fiscalità alla salvaguardia del creato. Un dibattito ricco e multiforme. Insomma, le idee ci sono.

Tra esse ricordiamo la necessità di incentivare politiche di armonizzazione tra lavoro e famiglia, il fattore famiglia o la revisione dell’Isee per riequilibrare il carico fiscale, la necessità di attivare un’alleanza educativa tra scuola e famiglia. Non sono certo novità, sono idee che circolano da anni. Perché si traducano in fatti ci vogliono persone che abbiano il coraggio di abbandonare gli abiti del passato, per costruire progetti di futuro, che invece hanno la grande capacità di unire. E questo è vero anche per il mondo cattolico, dove gli aggettivi, liberale, democratico, riformista devono servire per guardare avanti, non per difendere riserve di pensiero del passato.

Il secondo snodo riguarda proprio la famiglia in quanto fattore di unione tra le generazioni. Dai lavori è emersa la proposta di estendere il diritto di voto anche ai minori, esercitato dai genitori, per riequilibrare la rappresentanza generazionale. Le giovani generazioni oggi vengono sostenute, semplifico, attraverso i miliardi di euro di «welfare riflesso» dei posti di lavoro a tempo indeterminato dei padri e attraverso le pensioni dei nonni. E questo «welfare riflesso» non è sano per l’autonomia di chi vuole trovare la sua strada.

Per rovesciare questa situazione una prima proposta emersa: se, a più di trent’anni, hanno già compiuto almeno alcune delle scelte importanti della vita, chiamateli impiegati, professionisti, disoccupati, diplomati, laureati, mamme, papà, figli. Ma per favore non chiamateli più «giovani», quasi che siano ancora altri a dover decidere per loro. Perché tutti insieme, dai neonati fino agli ottantenni, corriamo il rischio di pensare che il nostro futuro sia già scritto da altri, quando invece dipende da noi.