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Dibattito all’Ambrosianeum con Molari, Arbib e Pistone “L’UNITÀ DEI DUE TESTAMENTI»

5 Giugno 2008

Con crescente interesse e partecipazione di pubblico prosegue la serie degli incontri di studio in occasione della Giornata annuale per l’ebraismo. Ebrei e cristiani propongono riflessioni sul terzo comandamento.

di Rosangela Vegetti

Anche quest’anno l’Ambrosianeum ha ospitato l’incontro centrale della Giornata per l’Ebraismo con una conversazione a più voci sui due versanti fondamentali della bibbia, l’Antico e il Nuovo Testamento, la tradizione ebraica e la seguente tradizione cristiana, per coglierne i profondi legami di unità e di rinnovata contiguità. Cerniera tra i due momenti storici e di fede è la figura di Gesù che ci riporta non solo alla necessità di comprendere la sua piena “ebraicità”, ma anche di purificare nostri atteggiamenti e comportamenti religiosi talora, o spesso, inquinati da formalismi o tendenze antigiudaiche. Ne hanno parlato: il teologo cattolico don Carlo Molari che ha affrontato il tema “La fede di Gesù”, il rabbino capo di Milano rav Alfonso Arbib che ha analizzato “La Terza delle Dieci Parole secondo la tradizione ebraica”, e lo studioso valdese Gioachino Pistone che ha ragionato su “Gesù e la terza Parola”.

Continuare la ricerca dell’unità dei due Testamenti è un cammino arduo, ma che può portare molto frutto sia ai fedeli della tradizione ebraica che ai cristiani; il Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano, con la Fondazione Ambrosianeum e il Gruppo di studio ebraico-cristiano Teshuvà, si conferma nella linea di approfondimento e di proposta già delineata nei 18 anni dell’iniziativa italiana della Giornata per l’Ebraismo, e promuove questi incontri di reciproco ascolto e di alto sapere a favore di una spiritualità biblica più viva e consapevole.

I temi nevralgici di quest’anno, a partire dalla riflessione sulla Terza Parola del decalogo (“Non nominare il nome di Dio invano” Es 20,7), sono stati la fede che Gesù, uomo ebreo, ha vissuto nel corso della sua vita, dall’educazione ricevuta nell’infanzia alla piena consapevolezza delle missione di Figlio di Dio fatto uomo sulla croce, e la grande importanza che il rispetto del nome di Dio, da non banalizzare, deve essere riproposta al giorno d’oggi, nella nostra cultura dell’apparenza e della superficialità.

Argomenti che non sono di diffusione corrente perché parlare di come Gesù ha anche lui imparato a credere, è cresciuto nell’abbandono fiducioso in Dio, ha rivolto la sua umanità alla piena adesione al disegno divino e riconosciuto la piena unità della sua natura umana e divina sulla croc e nel momento della sua donazione al Padre per la salvezza dell’umanità, è ancora questione controversa perché non siamo abituati a tener conto della umanità storica di Gesù. Fino ad ora ha prevalso l’idea che si dovesse piuttosto valorizzare la divinità di Gesù, il suo essere Figlio del Padre, rispetto alla sua natura umana e che questa dovesse in un certo senso essere lasciata in secondo piano quasi fosse un impedimento alla piena comprensione di Gesù stesso.

Ma Gesù ha parlato, è vissuto e si è comportato da ebreo del suo tempo e continuava a ripetere che la sua missione era di predicare il Regno di Dio, un modo del tutto inedito di rapportarsi a Dio, Creatore e Padre. «Riflettere su Gesù e sulla sua familiarità con il Padre è importante – afferma il teologo Molari – perché ancora oggi si possono riconoscere azioni di Dio nella storia, e se accogliamo la parola di Dio possiamo continuare a vivere nella storia anche con novità».

La tradizione ebraica ci propone un’attenzione particolare al rispetto del nome di Dio e della sua santità: ogni volta che si sostiene il falso non solo si tradisce la verità ma si tradisce Dio che è la Verità, ogni volta che si dimenticano le cose importanti per mettere in primo piano banalità, si banalizza anche il nome di Dio, ancor più è idolatria ogni formula che chiama Dio a sostegno di ideologie. Ma cos’è allora la verità nella tradizione ebraica? «Verità è avere una visione corretta della realtà – spiega rav Arbib – senza farsi guidare da tendenze superficiali e di sola apparenza. Se non sappiamo andare oltre l’apparenza apriamo la porta alla falsità e alla negazione di Dio».