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Don Luigi Monza, il colore della santità

A due anni dalla beatificazione, sabato 1° novembre, al termine del Pontificale di Tutti i Santi, il cardinale Tettamanzi ha benedetto la statua del beato posta all'interno del Duomo

28 Ottobre 2008

30/10/2008

di Gianna PIAZZA
Piccola Apostola della Carità

Ce lo aveva già ricordato il cardinale Carlo Maria Martini, che le parole “santo” e “santità” suscitano in noi un brivido di timore, al pensiero che essere santi significa essere bravissimi, “bravi al quadrato”, compiere chissà quali sforzi. In realtà essere santi significa lasciarsi amare da Dio, lasciarsi guardare da Dio. A noi è chiesto di essere contemplativi e amanti della preghiera, coerenti con la nostra fede, generosi nel servizio ai fratelli, membra attive della Chiesa e artifici di pace.

E con tutto ciò sembra già tracciata l’identità di chi si propone questa meta ardua e non ci preoccupiamo più, ritenendo che la massa delle persone comuni rimane obbligatoriamente legata a un andamento routinario della vita, senza sconvolgimenti improvvisi. Eppure è di soli pochi giorni fa la notizia della beatificazione dei coniugi Luigi Martin e Zelia Guérin, genitori di S. Teresa di Gesù Bambino. A noi può sembrare strano questa santità di “coppia”, perché la nostra esperienza ci riconduce a modelli al singolare.

Ma risuonano chiare le parole di Giovanni Paolo II: «È ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura alta della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie deve portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità» (Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte).

Allora per tutti, singoli o in coppia, la sfida si ripropone e ci attende nelle nostre normali occupazioni e relazioni. Aspirare alla santità è via normale del cristiano che sa percorrere la strada tracciata di proposito per lui, la strada che lo riporterà a casa. Come? I santi ci invitano a lasciare ogni comoda posizione rinunciataria e a lasciarci ritoccare ogni giorno, ogni momento dal dito di Dio.

A noi rimane il compito di diventare ciò che siamo con la docilità di una tela che si lascia dipingere dalle mani abili dell’artista. Perché anche la santità ha i suoi colori di cui ogni credente è invitato a rivestirsi per poter «dipingere la bellezza di Gesù non sulla tela, ma nelle anime» (beato Luigi Monza). Si può ricordarne qualcuno.

Il colore della costanza, del progredire a piccoli passi e non per balzi improvvisi. Oggi non siamo certamente favoriti dalle categorie del “tutto e subito”, ma rimane pur sempre questo il sentiero da percorrere.

Il colore della tenacia e dell’intensità, del mettere tutto il cuore e tutta l’intelligenza nel servizio che si deve portare avanti nella vita opponendosi concretamente alle varie forme di superficialità.

Il colore dell’abitudine, nel senso etimologico più ricco: rivestirsi di un habitus che nella fedele moltiplicazione dei semplici comportamenti di ogni giorno aiuta a ritrovare la freschezza delle origini.

Il colore della totalità e dell’armonia. Nella via della santità non vale accontentarsi. Il Vangelo è una sfida che va presa nella sua integrità; è l’armonia che si ricrea nella Chiesa quando, consapevoli di aver ricevuto doni particolari, sappiamo metterli a disposizione per la comunione della carità.

Il colore della gioia e della bellezza. Scriveva il cardinale Martini: «Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole; bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio» (Lettera pastorale Quale bellezza salverà il mondo?).

Il mondo economico-finanziario sta attraversando momenti di crisi. Scrivono i vescovi di Francia che il desiderio esclusivo del profitto e le scriteriate pratiche speculative non sono in sé atteggiamenti solo economici, ma, prima di tutto, umani. Occorre allora un’inversione di logica che solo chi si pone su un cammino di santità può intraprendere. Alla logica dell’azzardo, degli investimenti basati su un interesse del possesso egoistico, la santità propone la logica del dono, delle mani aperte nell’offerta di tutto ciò che si è e si ha.

Per questo la santità diventa sfida ancora possibile. È di questi giorni la notizia che la tecnologia voglia – e, soprattutto possa – uccidere le aurore boreali, cause di difficoltà per le comunicazioni via radio. A fronte del timore che finiscano anche quelle “danze di luce” nei cieli del Nord, rimangono pur sempre quelle meravigliose «scintille nella stoppia che correranno qua e là» (Sap 3,1-9): i santi di ieri, di oggi, persone che hanno un volto, una storia, che tutti noi incontriamo ogni giorno, che hanno segnato e incoraggiato i nostri cammini, che ci invitano a confidare ancora in una chiamata personale alla santità.