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Famiglie capaci di dare voce alla propria vocazione sociale

A partire dal Percorso pastorale diocesano, una riflessione sulla responsabilità della famiglia nei confronti della società e della Chiesa

15 Settembre 2008

15/09/2008

di Francesco BELLETTI
Direttore del Centro internazionale studi famiglia

Il Percorso pastorale triennale sulla famiglia in atto oggi nella diocesi di Milano costituisce un prezioso dono per la vita quotidiana della comunità ecclesiale e per la società tutta. In particolare, la rinnovata chiamata alla responsabilità che il cardinale Dionigi Tettamanzi indirizza alle famiglie con la lettera Famiglia, diventa anima del mondo costituisce una preziosa occasione per riecheggiare il monito che il 22 novembre 1981 la Familiaris Consortio rivolgeva a tutte le famiglie credenti nel mondo: «Famiglia, diventa ciò che sei!».

«I compiti che la famiglia è chiamata da Dio a svolgere nella storia scaturiscono dal suo stesso essere e ne rappresentano lo sviluppo dinamico ed esistenziale. Ogni famiglia scopre e trova in se stessa l’appello insopprimibile, che definisce a un tempo la sua dignità e la sua responsabilità: famiglia, “diventa ciò che sei!” (…). In tal senso, partendo dall’amore e in costante riferimento a esso, il recente Sinodo ha messo in luce quattro compiti generali della famiglia: 1) la formazione di una comunità di persone; 2) il servizio alla vita; 3) la partecipazione allo sviluppo della società; 4) la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa» (Familiaris Consortio, n. 17).

In questo quadro, quindi, la responsabilità delle famiglie verso la società e verso la Chiesa è descritta non come un imperativo morale, come una azione specifica «che si aggiunge», quanto piuttosto come la normale dinamica della vita familiare, come la riscoperta dell’unico modo possibile di fare famiglia nella fede, oggi come ieri e come domani. In altre parole, una famiglia vive bene se costruisce una comunità di persone, se accoglie la vita, se contribuisce al bene comune, se è Chiesa viva nel mondo.

La “responsabilità sociale” della famiglia quindi non è un comandamento in più, ma è semplicemente un modo più compiuto di vivere e di realizzare quella legge dell’amore per cui nessuno può mai dire: «Sono forse il custode di mio fratello?». La risposta, drammaticamente, deve essere sì, nei confronti dei propri fratelli nella famiglia, ma anche – e soprattutto – nei confronti dei propri fratelli in Cristo e dei propri fratelli nell’umanità.

Così, il richiamo del Cardinale per “Una famiglia per la città” riecheggia, con parole diverse, ma con lo stesso cuore, quanto ricordava, ancora, la Familiaris Consortio: «La famiglia costituisce il luogo nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e di personalizzazione della società: essa collabora in un modo originale e profondo alla costruzione del mondo, rendendo possibile una vita propriamente umana, in particolare custodendo e trasmettendo le virtù e i “valori”» (FC, n. 42).

Servono allora famiglie consapevoli, generatrici di bene comune, ma anche capaci di dare voce a questa loro azione e vocazione, capaci di farsi ascoltare, anche attraverso forme di aggregazione, di associazione, di cittadinanza attiva, in una relazione dialettica con tutti coloro che hanno responsabilità sociali e politiche, con coloro che controllano l’economia e i mezzi di comunicazione, perché la società veda e ascolti la famiglia, riconoscendola come un luogo privilegiato di generazione di capitale sociale, di solidarietà, di responsabilità.

Anche in tal modo la famiglia adempie la chiamata «a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio e originale, ponendo cioè al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suo essere ed agire, in quanto intima comunità di vita e di amore» (FC, n. 50).