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Il carcere, deserto spaventoso

Sabato 24 il cardinale Tettamanzi ha incontrato i 780 detenuti della casa circondariale di Monza

5 Giugno 2008

25/05/2008

di Filippo MAGNI

«Il carcere è come il deserto biblico, grande e spaventoso, ma è possibile sconfiggerlo». Con queste parole l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, si è rivolto ai detenuti della casa circondariale di Monza, con i quali ha celebrato l’Eucaristia nella visita di sabato 24 maggio.

Giunto nella struttura alle 13.30, Tettamanzi ha prima incontrato un gruppo di agenti di polizia penitenziaria, che ha ringraziato «per la fatica quotidiana» che sono chiamati ad affrontare , soprattutto a causa del lavoro straordinario imposto dal sovraffollamento delle celle, ma anche per l’ascolto che operano nei confronti dei detenuti.

Il carcere monzese ha una capienza di 550 posti, ma ospita attualmente 780 carcerati: il 45% di questi è straniero, dato che aumenta all’80% nella sezione femminile.

In seguito il cardinale si è intrattenuto privatamente con un gruppo di 17 donne, che per la particolarità dei reati commessi non sono state autorizzate a partecipare alla messa. Quasi tutte mamme, hanno denunciato all’arcivescovo la fatica di vivere lontane dai figli. «Siamo consapevoli degli errori fatti – hanno spiegato -, ma con l’aiuto di chi ci sta vicino, con la nostra forza e con l’aiuto del Signore sappiamo di poterci costruire una nuova vita».

«Resterei ad ascoltarvi tutto il giorno – ha risposto loro Tettamanzi -, per conoscervi meglio e per imparare qualcosa da voi. So che il peso maggiore in carcere è la solitudine, che diventa straziante quando ci si trova separati dai propri figli. Cerchiamo tutti, con la fede, di respirare un po’ di speranza e di fiducia».

Alle 14.30 l’arcivescovo si è poi recato nel teatro della casa circondariale per celebrare la messa insieme ai detenuti autorizzati a partecipare a questo momento: uno di questi ha donato a Tettamanzi un pontificale in legno, creato nel laboratorio artigianale del carcere.

I presenti hanno salutato sua eminenza raccontando di come riescano a sperare grazie alla fede, ma hanno anche espresso le difficoltà a credere che spesso vivono tra le mura della cella. «Vi ringrazio per la vostra testimonianza – ha esordito Tettamanzi -, mi avete posto problemi di fede che ho anche io, che hanno anche i sacerdoti. Per sopportare certe prove il nostro cuore non basta, abbiamo bisogno di un cuore nuovo, e questo cuore ce lo può dare solo Dio».

L’arcivescovo ha poi tracciato un parallelo tra il deserto narrato nella prima lettura della messa (Deuteronomio 8, 2-3 e 14-16) e la detenzione: «Spesso il carcere sembra un deserto grande e spaventoso, dal quale non si può uscire. Èil deserto della solitudine, della mancanza di legami. Ma anche il deserto può essere sconfitto, grazie all’aiuto di Dio che non ci lascia mai soli anche quando ci sentiamo abbandonati da tutti».

Anche un detenuto può realizzare una vita piena, ha concluso il cardinale, «ma è necessario che si crei un raccordo tra il carcere e la società, tra la società e il carcere. In questo senso è fondamentale il ruolo delle associazioni (come Carcere aperto, quella che opera a Monza) e dei volontari che cercano di rendere possibile per i detenuti un futuro nella società».