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La Chiesa in Cina è una sola ed è legata al Papa

«Non possiamo stare a guardare, ai margini della società», ha detto il cardinal Zen; ricordando la lettera scritta da Benedetto XVI ha assicurato che i cattolici la stanno ancora leggendo e attendono con fiducia un cambiamento

5 Giugno 2008

14/05/2008

di Luisa BOVE

Il cardinale Joseph Zen Ze-Kiun, Vescovo di Honk Kong, parla senza troppi giri di parole, si sente libero, a 76 anni compiuti non si pone tanti problemi. Quando concluderà il suo ministero episcopale manterrà il suo impegno di consigliere del Papa sulla situazione cinese. Con tono pacato e schietto affronta temi di attualità, ma racconta anche la sua vita di prete in un contesto non sempre facile, anche se si ritiene comunque «fortunato».

Ci tiene a sottolineare che nonostante gli anni di «isolamento, dubbi e sospetti» la Chiesa cinese è «una» ed è una «grande famiglia», seppure esista una Chiesa clandestina e una ufficiale «tutti sono legati al Papa». La Chiesa di Honk Kong, assicura il Vescovo, «si è sempre interessata alla situazione della Cina». E aggiunge: «Non possiamo stare a guardare, ai margini della società, che va regolata secondo il piano di Dio che dà diritti all’uomo creato a immagine di Dio». Questo non significa che «dobbiamo fare politica, ma che dobbiamo interessarci alla politica», come sollecita il Papa nella sua enciclica “Deus caritas est”.

«Io ho conosciuto da vicino la realtà di questa Chiesa che soffre», continua il Cardinale. Se da una parte infatti i Vescovi clandestini rischiano l’arresto, quelli che hanno accettato il compromesso «sono molestati e umiliati». Ora sono i più esposti, meno protetti di coloro che da anni sono in prigione e non subiscono torture. «In questi anni la Chiesa ha cercato di essere una voce della coscienza e della giustizia» di fronte alla cultura di oggi che invita «all’adulazione verso i potenti e all’oppressione verso i più deboli», la Chiesa invece «parla in difesa dei deboli».

In ogni caso il cardinal Zen resta fiducioso che la situazione in Cina possa cambiare. La lettera che Benedetto XVI ha inviato nel 2007 ai cattolici cinesi è «un fatto storico enorme», dice chiaramente il Vescovo asiatico. Per conoscenza il Papa aveva inviato la lettera una settimana prima ai vertici del governo, poi quando è uscita su Internet, anche se è rimasta solo un giorno, ricorda Zen, è stata scaricata da moltissima gente. Ancora adesso, assicura il Cardinale, «sta suscitando buona inquietudine, il popolo cattolico la sta leggendo e attende un cambiamento». Nella Chiesa ufficiale infatti comanda il governo, ma non deve essere così.

In effetti il clima è pesante, tutto è sotto il controllo del potere, compreso il seminario, e chi vuole entrarvi deve aspettare l’approvazione del governo che verificare che il candidato non abbia familiari anticomunisti. Non possono esistere rapporti con la Santa Sede e la stessa Conferenza episcopale è inesistente, non solo perché non è riconosciuta da Roma e non include la Chiesa clandestina, ma perché i Vescovi non possono mai riunirsi tra loro e quando occorre è il governo a convocarli. «Noi cristiani però siamo sempre ottimisti, il Signore ha i suoi piani meravigliosi e i suoi tempi, anche se noi siamo impazienti».

In questo momento, dice il cardinal Zen rispondendo alle domande dei giornalisti, «la visita del Papa in Cina è rischiosa se non ci sono le condizioni», addirittura «non ha senso». Occorre prima una «normalizzazione della Chiesa», altrimenti si rischia una strumentalizzazione politica. Invece «noi vogliamo il vero bene, sia per la Chiesa sia per il popolo cinese».

Bisogna anche ammettere che «il regime ha preso come un affronto» la canonizzazione dei martiri cinesi, ancora di più per la coincidenza con la festa nazionale della Cina popolare. Ne è nata una lettera di biasimo verso la scelta del Papa, voluta soltanto da due o tre Vescovi asiatici e non dall’intero episcopato, come ha chiarito il cardinal Zen, che all’epoca ha scritto anche un articolo per spiegare la situazione.