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Uscire dal silenzio

Franco Vitale di Federvita: «Il dibattito pubblico sulla tutela della vita è fondamentale. Poi servono misure concrete da parte delle istituzioni»

5 Giugno 2008

31/01/2008

di Cristina CONTI

Annunciare l’importanza e il valore della vita umana nella società contemporanea è un dovere per i cattolici. La vita deve essere tutelata sempre e comunque. In questa prospettiva il cardinale Tettamanzi ha invitato alla messa del 3 febbraio medici, infermieri e volontari che lavorano nei consultori e nei Centri di aiuto alla vita. Persone che hanno scelto di impegnarsi in prima linea per aiutare le donne a portare a termine la gravidanza. Ma qual è il ruolo di questi centri oggi e quali sono le prospettive per il futuro? L’abbiamo chiesto all’avvocato Franco Vitale, presidente di Federvita.

Tutela della vita oggi. A che punto siamo?
Negli ultimi mesi c’è stato un passaggio molto forte che ha portato il tema della tutela della vita umana alla ribalta. Finalmente si è discusso apertamente e pubblicamente di temi quali la famiglia, la vita e l’educazione: valori da cui, certo, non si può prescindere. Questi concetti sono infatti strettamente collegati tra loro. La famiglia è il luogo in cui la vita nasce e si forma nelle sue relazioni sociali attraverso l’educazione: ciò è la base di ogni società civile. Uscire dal silenzio è fondamentale se si vuole cambiare qualche cosa nella società. Spiegare il proprio punto di vista è lo strumento principale per aiutare gli altri a riflettere, anche se la vedono in modo diverso da noi. Il dialogo, dunque, oggi è più che mai importante. Certo, parlare non basta. Adesso ci vorrebbero anche fatti concreti da parte delle istituzioni.

Aborto non come soluzione di un problema scomodo: c’è stato qualche progresso?
Anche qui un passo avanti è stato fatto. Oggi non si parla più di feto, ma di bambino o di figlio concepito. In questo modo si passa da un concetto freddo e asettico, proprio della scienza a uno più profondo, con cui si riconosce l’essere umano fin dalle sue prime manifestazioni vitali, nel corpo della madre. Questo significa che si sta cominciando a dare identità anche a chi non è ancora nato e che implicitamente si riconosce un legame già esistente con la donna che lo porta in grembo.

Lavoro precario e relazioni sociali spesso troppo deboli. Come si può stare vicino oggi alle donne che pensano all’aborto?
La cosa più importante è aiutarle a superare le loro inquietudini. La realtà sociale che stiamo vivendo è molto dura, figuriamoci per una donna in attesa di un figlio. I problemi si ingigantiscono enormemente. La gravidanza comporta un forte senso di responsabilità, che può arrivare a tradursi anche in un sentimento di inadeguatezza verso il figlio che deve nascere. Queste paure possono degenerare nella depressione, complici anche i cambiamenti ormonali repentini a cui la donna è soggetta quando aspetta un bambino. Il compito del consultorio è quello di sciogliere l’ansia parlando, offrendo un supporto psicologico e un sostegno morale alla futura mamma. Talvolta poi si tratta anche di un appoggio più concreto. È il caso per esempio del “Progetto Gemma”. Una donna incinta che non riuscirà a mantenere il suo bambino, ma che vuole tenerlo, viene “adottata”, cioè aiutata economicamente. Si cerca di andare incontro ai suoi bisogni materiali, di farle capire che tutto si può risolvere se si vuole davvero. È un gesto molto significativo, con cui si vuole agire concretamente per la vita.

Quali sono le prospettive per il futuro nel campo della tutela della vita?
C’è la speranza che possano arrivare interventi anche in campo legislativo. Ma sicuramente sarebbe già un passo utile se tutti i mezzi di comunicazione parlassero più spesso della difesa della vita umana: i media sono uno strumento che permette una fortissima affermazione dei valori.