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Pensieri dal fronte

«Cercatore di Cristo»

Ennio APECITI responsabile Servizio per le Cause dei santi Redazione

6 Aprile 2009

Nel 1943 don Carlo Gnocchi scrisse Cristo con gli alpini: «Volere o no, siamo tutti, quanti siamo uomini sulla terra, inquieti appassionati e non mai sazii cercatori della faccia di Dio. […] Anch’io ho sempre cercato le vestigia del Cristo sulla terra, con avida, insistente speranza. E mi era parso veder balenare il suo sguardo negli occhi casti e ridenti dei bimbi – lembi di cielo mattutino e ventoso di primavera – trasparire opaco, come dietro un velo di alabastro, nel pallido e stanco sorriso dei vecchi, illuminato già dalla pace di remote e dolci regioni. Avevo cercato di cogliere l’accento della sua voce nel discorso dolente e uguale dei poveri e degli afflitti e mi era sembrato più volte che la sua ombra leggera mi avesse sfiorato nel crepuscolo fatale dei morenti. […] Bisognava forse che suonasse l’ora grande della guerra. L’ora della tua agonia più acuta, o Signore. E pure l’ora della tua irresistibile manifestazione al mondo. Era un ferito grave e già presso a morire. Quando gli tolsero adagio, devotamente, la giubba, apparve la veste atroce e gioconda del sangue, che, come un velo liquido e vivo, fasciava e rendeva brillanti le membra vigorose. Senza parlare mi guardò, come un bimbo che si addormenta poco a poco. Non altrimenti dovette guardare Gesù dall’alto della croce. […] Da quel giorno, la memoria esatta dell’irrevocabile incontro mi guidò d’istinto a scoprire i segni caratteristici del Cristo sotto la maschera essenziale e profonda di ogni uomo percosso e denudato dal dolore». Il segreto di don Carlo fu l’essere instancabile cacciatore di colui che solo amava con tutto il suo essere, Cristo. Nel 1943 don Carlo Gnocchi scrisse Cristo con gli alpini: «Volere o no, siamo tutti, quanti siamo uomini sulla terra, inquieti appassionati e non mai sazii cercatori della faccia di Dio. […] Anch’io ho sempre cercato le vestigia del Cristo sulla terra, con avida, insistente speranza. E mi era parso veder balenare il suo sguardo negli occhi casti e ridenti dei bimbi – lembi di cielo mattutino e ventoso di primavera – trasparire opaco, come dietro un velo di alabastro, nel pallido e stanco sorriso dei vecchi, illuminato già dalla pace di remote e dolci regioni. Avevo cercato di cogliere l’accento della sua voce nel discorso dolente e uguale dei poveri e degli afflitti e mi era sembrato più volte che la sua ombra leggera mi avesse sfiorato nel crepuscolo fatale dei morenti. […] Bisognava forse che suonasse l’ora grande della guerra. L’ora della tua agonia più acuta, o Signore. E pure l’ora della tua irresistibile manifestazione al mondo. Era un ferito grave e già presso a morire. Quando gli tolsero adagio, devotamente, la giubba, apparve la veste atroce e gioconda del sangue, che, come un velo liquido e vivo, fasciava e rendeva brillanti le membra vigorose. Senza parlare mi guardò, come un bimbo che si addormenta poco a poco. Non altrimenti dovette guardare Gesù dall’alto della croce. […] Da quel giorno, la memoria esatta dell’irrevocabile incontro mi guidò d’istinto a scoprire i segni caratteristici del Cristo sotto la maschera essenziale e profonda di ogni uomo percosso e denudato dal dolore». Il segreto di don Carlo fu l’essere instancabile cacciatore di colui che solo amava con tutto il suo essere, Cristo.