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"Caritas in veritate"

Così il Papa legge la “globalizzazione”

Rimettere al centro la persona in un mondo in cui si è insediato uno sviluppo vorace e permangono insopportabili disparità. Per raggiungere quel "di più" che la tecnica non può dare

Giovanni BIANCHI Redazione

20 Luglio 2009

In che modo l’ultima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, legge e orienta la globalizzazione? Se il razionalismo teologico di Ratzinger, da una parte, si confronta con i nuovi termini della questione sociale, dall’altra mostra un insistito riferimento alla tradizione e alla logica di fondo di tutta la dottrina sociale della Chiesa. Ricordo l’osservazione contenuta in una aureo libretto comparso negli anni Trenta a firma di tal Mario Zanatta, nome di penna dietro il quale si celava Alcide De Gasperi, esule presso la Biblioteca Vaticana. Per De Gasperi la dottrina sociale può essere considerata una sorta di coscienza del popolo di Dio, messa in bella copia dal Pontefice, con la quale i credenti attraversano le trasformazioni della storia. Non è casuale allora che in questa fase di crisi planetaria la Caritas in veritate prenda le mosse dalla Populorum Progressio (26 marzo 1967) di Papa Montini. Qui segnalando insieme una vicinanza e una distanza.
Erano punti di riferimento in quegli anni Sessanta i “segni dei tempi” additati al n. 21 della Pacem in Terris (11 aprile 1963) da Giovanni XXIII. Tali segni erano l’ascesa economica-sociale delle classi lavoratrici; l’ingresso della donna nella vita pubblica; i popoli che si andavano costituendo in comunità politiche indipendenti. Ma anche quei segni dei tempi sono stati da tempo messi alle nostre spalle da nuove stagioni sociali, economiche, politiche. Due grandi periti conciliari come il domenicano francese Marie-Dominique Chenu e Giuseppe Dossetti lo segnalavano fin dalla metà degli anni Pttanta. Che vuol dire allora leggere la globalizzazione dopo il “settembre nero” dello scorso anno a Wall Street?